Omelia per l’80° anniversario della strage del 22 luglio 1944

San Miniato, Cattedrale ore 11
22-07-2024

 

Letture: Can 3, 1-4; Sal 62; Gv 20, 1-2.11-18

«Donna, perché piangi?»

La domanda dell’angelo a Maria Maddalena risuona per noi oggi, e anche se son passati 80 anni da quel 22 luglio 1944, il dolore e la desolazione rimangono forti. La domanda anzi assume un peso sempre più grande, vedendo attorno a noi stringersi il cerchio della guerra, della nuova corsa a moltiplicare le armi, cosa che avremmo mai più pensato non dovesse più accadere. La guerra assurda e diabolica, scatenata allora da sistemi e ideologie inumane, ma anche oggi sempre frutto della volontà di imporre con la forza e il potere la propria idea e i propri interessi, distrugge tutto. Distrugge nell’odio la naturale fratellanza umana, ci chiude in schieramenti e gruppi avversi, lascia la scia dell’odio, germe di nuove guerre.

«Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Gesù, che Maddalena non riconosce, chiusa nel suo pianto, ripetendo la stessa domanda, ne aggiunge un’altra. «Chi cerchi?»

Non cosa cerchi, ma chi cerchi. La invita a una presa di coscienza più profonda, che interpella anche noi. Infatti l’insoddisfatta ricerca della pace, della giustizia, della fratellanza tra gli uomini, segnala una meta più profonda, un Tu misterioso, che chiama a sé ogni persona umana, il misterioso Tu di Dio.

Anche noi cerchiamo nella notte, come dice il testo del Cantico dei Cantici, l’amore della nostra vita, «lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato». Non l’ho trovato: non finisce mai la ricerca di quell’amore totale, pieno di pace e verità, di giustizia e di bellezza, per cui ognuno vibra.

Dio, a cui oggi, nella certezza della fede o nella precarietà della ricerca nel buio, ci rivolgiamo pregando per queste vittime innocenti della barbarie della guerra, rimane al di là della nostra comprensione. Il salmo ci ha fatto dire: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua». Desiderio e ricerca che non finisce mai, dall’apertura infinita. Per questo ogni uomo, il più piccolo e debole, vale più di ogni idea o interesse, perché è rapporto con l’infinito e perciò porta una dignità infinita, come recentemente ha ridetto a tutti Papa Francesco.

Per Maria Maddalena, però, quel Tu misterioso e inattingibile che fonda la dignità irriducibile di ogni persona, aveva assunto le fattezze umane di Gesù, la sua voce. Proprio la voce di Gesù che la chiama per nome, «Maria!» la libera dal loop, dal cerchio chiuso della sua disperazione, la riporta a sperare, ad alzare la testa.

Come lei, che diventa la prima testimone della resurrezione – «Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via? La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto» – anche noi pieni di domanda sul perché di ogni morte innocente, non alziamo le nostre mani in preghiera verso un Dio lontano e muto, ma verso Gesù, che ci ha chiamati per nome, che ha chiamato per nome ognuno di quei nomi che abbiamo letto poco fa, che si piega sul nostro dolore e lo porta sulla croce per noi.

O Gesù, dona ai nostri morti la tua pace, dona all’umanità incapace di amare, la tua pace.

Dice Erick Emmanuel Schmitt nell’opera che si rappresenta in queste sera qui in piazza, parlando di Gerusalemme: «Le pietre riescono in qualcosa che gli uomini sono incapaci di realizzare: la coesistenza. Le pietre sanno di essere pietre, fatte di una materia comune, e di avere forme soltanto per acquisizione. L’umanità, per quanto riguarda sé stessa, si ostina invece a dimenticarlo».

Gesù aiutaci a ritrovare la coscienza di essere tutti fratelli, tutti figli di un amore infinito, e facci costruttori, artigiani, di vera pace tra gli uomini, di quella pace che è così fragile e necessaria, oggi come ottant’anni fa.

 

 

+ Giovanni Paccosi