La celebrazione della Messa crismale si caratterizza per alcuni segni tipici, unici nel rito liturgico, che esprimono la ricchezza e la sovrabbondanza di bene e di grazia che è la Chiesa.
C’è il segno degli oli che vengono benedetti e che accompagnano la vita delle persone, di tutti noi, dal nascere al morire, dalle tappe sacramentali della nostra fede a quelle delle scelte di amore, per sempre, nella vita. L’olio ci racconta che il Risorto è vivo in mezzo a noi e ci accompagna e ci salva, ci dà vita, sempre.
C’è il segno del sacerdozio che viviamo nel concelebrare, presbiterio col suo vescovo, in una fraternità sacerdotale che è sacramentale e che vive la tappa del rinnovo delle promesse del giorno della nostra ordinazione. Saremo chiamati a dire di nuovo, davanti alla comunità e in mezzo alla comunità tutta, il nostro “eccomi” per andare dietro a Signore e per servire, in suo nome, i fratelli.
E c’è il segno del popolo di Dio in cammino, tutti voi che provenite dalla diverse parrocchie, religiosi e religiose, diaconi, catechisti, ragazzi della cresima e tanti altri… E’ il volto autentico della Chiesa, fatto di storie e di cammini concreti, i nostri… e siamo la chiesa amata dal Signore.
Questi segni ci accompagnano alla Pasqua, ci introducono nel Triduo santo, sono doni pasquali già vivi per tutti noi.
Tanti di questi segni riguardano il sacerdozio ministeriale, i preti.
Ed è tipico di questa celebrazione che ci si soffermi a riflettere sulla vita e sul ministero del prete nella comunità. Vorrei dire ai più giovani, ai ragazzi/e della cresima che parliamo un po’ del prete, parliamo un po’ del vostro prete che spero vediate anzitutto come un amico.
Chi è il prete? Chi è il prete nella Chiesa del 2022? Cosa è chiamato a vivere e a fare il prete oggi?
Ce lo racconta e ce lo svela la comunità, la Chiesa, voi… anche voi, ragazzi più giovani.
Non è il prete che dice alla comunità cosa deve essere, ma viceversa…: è la comunità cristiana che racconta e definisce chi sia il presbitero, il prete. E’ la comunità cristiana, la Chiesa di oggi, quella contemporanea, lontana da passate ed inutili nostalgie, quella che racconta chi sia il prete.
Ci guida allora questa domanda: “Chiesa, chi dici che sia il prete oggi?”.
E’ una domanda illuminata, orientata dalla Parola di Dio proclamata che ci parla di un uomo che è chiamato e insieme è mandato a porre dei gesti. Così ci viene raccontato dal profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me… Il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (chiamato) e “mi ha mandato a portare il lieto annuncio” (mandato).
Una parola che Gesù, nella pagina di vangelo, interpreta riguardante sé: è Lui l’atteso, il Messia chiamato e inviato.
Ed è anche chiaro quale sia la missione, raccontata in un elenco di opere di misericordia, di carità verso i poveri, gli oppressi, i bisognosi. Si tratta di una missione che porta sollievo e benedizione, suscita rinnovamento e vita nuova.
Sono le coordinate ove collocare la vita del prete di sempre, anche della nostra Chiesa: chiamato (e cioè amato da Dio), mandato a portare una notizia di bene, operoso nella carità e nel farsi carico dei fratelli, soprattutto i più bisognosi, cioè un uomo che è capace di vivere e di fare il bene.
Prete, uomo chiamato, mandato, solidale… Ma chi sei tu prete nella Chiesa di oggi?
Stiamo vivendo l’esperienza del cammino sinodale della nostra diocesi, insieme alle altre chiese in Italia. E’ il cammino di tutto il popolo di Dio, l’esperienza che ci dice che non c’è Chiesa senza popolo di Dio e non è possibile vivere alcun ruolo, neanche quello del prete, senza la comunità, talvolta nonostante la comunità.
E’ un primo tratto dell’identikit del prete: è un uomo che sta con la sua comunità e che sa ascoltare. Il prete non siede al posto di comando, ma nel punto in cui può meglio servire tutta la comunità.
La nostra Chiesa diocesana inizierà quest’anno in dicembre il proprio Giubileo, 400 anni di vita. Si parla di una storia, la nostra diocesi, con i suoi santi e le sue fragilità, con le sue avventure e i suoi progetti. C’è una storia che definisce la nostra Chiesa, e possiamo chiamarla la nostra Tradizione. Guardare alla concretezza della diocesi e alla sua identità ci fa scoprire la Chiesa che si incarna, diventa storia concreta e ci chiede di far parte di questa storia.
Le nostre vicende ci portano ad avere un presbiterio piuttosto “internazionale” e allora qual è la nostra identità di preti sanminiatesi?
La nostra storia, 400 anni ci chiedono di riconoscerci preti di questa Chiesa, di amarla e riconoscere la Provvidenza di Dio che l’ha guidata ed animata per tutti questi anni.
Si tratta di essere preti fedeli ad una storia e insieme segno di unità e di comunione di tutta la nostra Chiesa, da Lari a Larciano, da Ponte a Elsa a Ponsacco e così ogni nostra parrocchia. Preti che manifestano la fedeltà alla nostra storia diocesana coltivando la comunione nel presbiterio anzitutto e tra le diverse comunità.
La Chiesa di questo XXI secolo sta attraversando un faticoso travaglio nel quale con più chiarezza avvertiamo di essere, come diceva Sant’Agostino, “Corpus permixtum”, Chiesa “casta ed meretrix”, cioè avvertiamo bene il nostro essere Chiesa peccatrice, Chiesa segnata dal peccato. Ci sono le tristissime vicende della pedofilia, alcuni scandali di carattere economico, i peccati degli uomini di chiesa, scandali vari. Che Chiesa è questa? E’ la Chiesa amata dal suo Signore e da Lui confermata nella fede e per questo è Chiesa ove abbonda la misericordia di Dio che sostiene il rinnovamento, la richiesta di perdono e la purificazione.
Il prete in questa Chiesa è un peccatore. Tutti noi siamo peccatori e il primo è il vescovo. Il prete non è più santo di altri per il fatto di essere prete… Piuttosto è peccatore con tutti gli altri, nel cammino di conversione e di santità. Allora il prete è un uomo umile, che si confessa e chiede perdono, che sa correggersi e accettare la correzione, col desiderio di vigilare su di sé per promuovere il bene e non compiere troppo male.
La Chiesa del nostro tempo, accompagnata dalla viva testimonianza di papa Francesco, è Chiesa che dice e che mostra la sua scelta preferenziale per i poveri. Già la Parola di Dio ce lo ricordava.
La scelta dei poveri è anzitutto uno stile e non solo un insieme di opere. E’ chiesa che anzitutto condivide prima di aiutare, che sa stare con il bisognoso e chi soffre, che si dona per i bisogni di chi è nella necessità.
Ci sono povertà emergenti nel tempo, come in questo momento l’esigenza di accoglienza dei profughi di guerra…, sperando di ricordarci che è importante accogliere chi proviene dall’Ucraina e che per onestà allora non si può chiudere la porta o i porti a chi scappa da altre guerre.
E allora chi sei tu prete? Sei un uomo inclusivo, che non si ferma davanti a differenze di religione, di colore della pelle, di idee politiche, di orientamento personale e sessuale, ma sa accogliere e integrare, accogliere e fare spazio, accogliere e far vivere. E poi è uomo povero, che non ha paura di condividere, di donare anche del suo per chi ha bisogno. Ricordandosi sempre che condividere, nella logica del vangelo, equivale a moltiplicare.
La Chiesa è chiamata ad essere nel nostro mondo strumento di pace. Quanto ce n’è bisogno di questi tempi. Pensiamo all’Ucraina e ai tanti luoghi di guerra sul Pianeta. Guai a chi invoca il nome di Dio per fare la guerra, guai a chi giustifica la guerra, guai a chi, magari uomo di Dio, approva atti criminosi di guerra contro altri fratelli. Chi parla e vuole la guerra o la giustifica non è uomo di Dio, qualunque autorità nella Chiesa rivesta. Afferma papa Francesco nel libro “Contro la guerra”: “Quando ci lasciamo divorare da questo mostro rappresentato dalla guerra, quando permettiamo a questo mostro di alzare la testa e di guidare le nostre azioni, pèrdono tutti, distruggiamo le creature di Dio, commettiamo un sacrilegio e prepariamo un futuro di morte per i nostri figli e i nostri nipoti”.
Ed è una Chiesa anche che deve e che sa parlare chiaro: non si può sostenere chi produce armi e promuovere politiche tese al riarmo, con la giustificazione di doversi difendere. La guerra si ferma con la pace, non con la guerra.
Si è prete in questa Chiesa e mi piace pensarlo come l’uomo di Dio intercessore, che alza le braccia e prega Dio perché conceda la pace e promuova pace e giustizia su tutta la terra. Ecco: prete intercessore, prete che prega, prete che spera contro ogni speranza. E a partire dalla preghiera diventa costruttore di legami buoni e di riconciliazione.
La Chiesa è fatta da questi ragazzi, gli amici della cresima, altri ancora più giovani.
Vedere i ragazzi e i giovani ci fa dire che la Chiesa è viva, la Chiesa ha futuro.
E questi ragazzi ci parlano di gioco (vi piace giocare vero?), di vivacità, ci chiedono di stare con loro, di giocare con loro. I ragazzi ci vogliono autentici e ci chiedono testimonianza, pazienza, tempo per loro più che parole. Dovremmo chiederlo a voi ragazzi: come volete il prete? Come deve essere il vostro prete? Penso che sentiremmo parole di vangelo. C’è un magistero nella parola dei ragazzi da cui passa la parola di Gesù, per noi.
Allora mi piace pensare a preti con loro, coi giovani, che non dicono ai ragazzi e ai giovani che cosa devono fare, ma che lo fanno per primi loro e con loro. Prete che non dice ai giovani che devono pregare, ma che pregano con loro; che non dice ai ragazzi di fare del bene a tutti, ma che offrono esperienze di carità da condividere con loro; che non educano con parole al perdono e all’aiuto reciproco, ma che sanno per primi loro perdonare e avere pazienza con i ragazzi; che non fanno troppe prediche, ma che piuttosto danno tempo per l’ascolto dei ragazzi e per offrire loro spazi ed occasioni di incontro. Potrebbe essere un bel programma di vangelo per i preti: giocare un po’ di più con i nostri ragazzi.
C’è un rischio… Quello che la descrizione che ho cercato di fare sia colta come una bella esortazione o come uno sproloquio moralista. Non vuole essere così.
L’invito è invece a metterci in ascolto della Chiesa, della nostra Chiesa di oggi e scoprire in questo orizzonte chi è il prete, chi sei tu prete, cosa sei chiamato a vivere più che a fare. E si tratta sempre di vivere il vangelo, da uomini, amici del Risorto.
Una vita così ha senso, sa parlare al mondo di oggi, rende ricca la scelta di celibato, può diventare attraente per gli altri e per i più giovani.
Essì, di questo anche abbiamo bisogno, di nuovi giovani che scoprano il fascino e la chiamata di essere prete. Lo dico anche a voi ragazzi qui presenti. Il Signore chiama probabilmente qualcuno di voi a seguirlo da vicino, a vivere da prete. Se lo sentite non spegnete questa voce, ma sentitela bene, coltivatela, lasciate parlare il Signore che chiama. E preghiamo per il dono di vocazioni belle e normali.
Ancora una parola. La nostra chiesa è comunità che sa dire grazie. Lo diciamo in tante occasioni.
Oggi io, come vescovo di San Miniato, a nome di tutta la comunità, dico il grazie ai nostri preti per il loro esserci e per il loro vivere il servizio nelle nostre comunità.
Il Signore ve ne renda merito e vi benedica.
Il Signore benedica tutti noi e, in questa Pasqua, ci dia pace.