Omelia della Messa Crismale

San Miniato, Chiesa Cattedrale
30-05-2020

 

Ben ritrovati cari presbiteri, cari confratelli, cari amici!

La diffusione della pandemia del Covid-19, dalla domenica 8 marzo, si è fatta vicina a noi, alle nostre comunità, alle nostre famiglie, alle nostre chiese e ci ha chiuso a casa.

Ricordiamo bene come questa emergenza ha avuto anzitutto una ricaduta sanitaria, con la paura del contagio e con i malati, spesso a rischio della vita. Con loro, la gravità della situazione ha coinvolto i medici e tutto il personale sanitario, insieme alle strutture ospedaliere e quanti rischi e impegno abbiamo visto in tutti loro. Una emergenza che si è più facilmente insinuata nelle strutture con persone più fragili, come le case di riposo, i centri per persone con disabilità, famiglie con anziani. Quanti morti! In Lombardia più che qui da noi, ma il lutto ci ha segnati tutti, così come ci ha impressionato la colonna di camion che da Bergamo portava altrove anonime bare.

Una emergenza che è diventata anche di carattere comunitario. Tanto si è parlato di “distanziamento sociale” e ci è stato chiesto di stare a casa. Io ho dovuto sospendere la visita pastorale, altri tante iniziative comunitarie e parrocchiali, difficile è immaginare che siano realizzabili i nostri tradizionali campi o campeggi estivi per i ragazzi, da reinventare sono le attività estive degli oratori. Abbiamo vissuto una emergenza che ci ha resi più distanti. Certo, benedetta la tecnologia che con tanti mezzi, whattsap, videochiamate con zoom, jitsi, meet e altro ancora ci ha permesso di sentirci più uniti, di farci compagnia, di renderci un poco operativi. Uniti seppure distanti potremmo dire.

E poi l’emergenza sociale che tocca soprattutto l’aspetto economico, finanziario e lavorativo di tante aziende, di tanti lavoratori e famiglie. Ci sono tante preoccupazioni, aziende e negozi che forse non riapriranno, gente che perderà il posto di lavoro forse, un maggior numero di famiglie che cadrà nella fascia della povertà e talvolta della indigenza. Questa situazione ha visto mettere in campo tante energie caritative, da diverse realtà, soprattutto per il terreno ecclesiale la caritas, la diocesi stessa e un grande investimento dell’8 per mille. Una emergenza sociale che dovrà vederci maggiormente impegnati come comunità cristiane nel vivere una efficace e attenta solidarietà.

L’emergenza ha toccato anche la vita liturgica delle nostre parrocchie: impossibilità di radunarsi in chiesa, eucaristia a porte chiuse, sospensione delle programmate celebrazioni delle cresime e prime comunioni, sospensione di processioni, benedizioni e quant’altro. Una “chiusura” doverosa e responsabile che ci ha comunque fatto soffrire per la mancanza in chiesa del popolo di Dio, una corpo, lo ricordavo già in una precedente messa crismale, che non è un semplice accessorio della vita ecclesiale e liturgica, ma è elemento decisivo e costitutivo della Chiesa come tale. Non potremo mai dimenticare il triduo pasquale di quest’anno, una inedita celebrazione di riti a porte chiuse. Una “chiusura” però che non ha imbrigliato la dedizione e la fantasia di tanti preti, di tanti di voi anche e ci ha visti in campo, nel farci vicino a chi ne aveva bisogno, anche accettando i rischi della vicinanza e con i tanti mezzi social che ci hanno consentito di entrare nelle case della gente. Parla da solo il numero dei 120 preti morti per il coronavirus, con tante storie di generosità e di sacrificio. Ci siamo tutti specializzati in dirette fb, videoconferenze, rosari e adorazioni trasmesse, meditazioni, commenti alla Parola di Dio. Non è stata una chiesa bloccata quella che abbiamo vissuto, anzi, una comunità cristiana che ha continuato a vivere l’annuncio e la lode a Dio, la solidarietà e la vicinanza alla gente. Il popolo di Dio c’è stato, eccome. Di tutto questo oggi per me è l’occasione anche per dirvi il mio grazie.

L’emergenza non è finita: attenzioni sono ancora necessarie per la tutela della salute e per sconfiggere il virus, dovremo mettere in campo tante energie caritative per far fronte alla povertà, siamo chiamati a vivere ancora con pazienza i tempi e le modalità attuative della liturgia, dovremo reinventarci, senza arrenderci, le iniziative estive per i ragazzi e gli adolescenti.

Ma cosa dire in sintesi? Dobbiamo lamentarci? Dobbiamo cercare gli errori di qualcuno o nostri?

A me viene da dire: abbiamo vissuto e sperimentato una chiesa bella. E vorrei chiedere, scongiurare che non si aspiri a tornare a quello che eravamo, quasi che il ritorno alla normalità sia un ritorno a quello che eravamo prima. La crisi che abbiamo vissuto può diventare occasione per un significativo rinnovamento, un introdurci in una “normalità” che sia anch’essa inedita, nuova. Di cosa si tratterà, come sarà? Questo dobbiamo comprenderlo insieme, riflettendo, sperimentando, aprendoci sempre più al confronto con i laici e con i giovani che talvolta vedono più lontano e forse meglio di noi.

Un amico prete di Milano in una sua omelia così ha stimolato la sua gente a riflettere sulla esperienza e immaginare un futuro rinnovato:

Come quando viene il tempo della potatura, ho visto sfoltirsi le chiome appariscenti delle nostre liturgie solenni, delle nostre programmazioni pastorali, dei nostri rassicuranti “copia-e-incolla”.

La diminuzione delle attività è stata una vera essenzializzazione? Siamo andati alla ricerca del cuore pulsante o solo ci siamo lamentati della mancanza? E la casa è stata o è tornata ad essere il luogo il luogo degli affetti – compreso quello per il Signore Gesù – o si è degradata definitivamente a dimora della signoria del divano, corsia dei colpiti dalla “sindrome della capanna” o dei definitivamente vinti dall’incomunicabilità da convivenza stretta?

 

E’ vero… tante cose si sono sfoltite.

Pensate all’agenda e agli appuntamenti segnati su di essa. Dal pomeriggio dell’8 marzo è stato possibile chiuderla e abbiamo provato, non capita spesso, a vivere senza averne più bisogno, senza doverci appuntare o segnare sul cellulare appuntamenti e impegni e gestire in modo inedito il nostro tempo e il nostro essere e vivere da preti.

Una agenda libera da appuntamenti, dai propri programmi, dalle proprie corse può diventare spazio per un tempo vissuto in modo rinnovato, perché il tempo rimane, ma la questione viva è come lo vivo, come lo impiego.

Una agenda libera, un tempo libero svela maggiormente di cosa vivo, cosa mi nutre, cosa mi fa vivere, quali esperienze mi danno soddisfazione e riempiono la vita e soprattutto il cuore. Può accadere di ascoltarsi di più, di ritrovare un appuntamento che, quello sì, era rimasto scritto che è quello con il Signore, emerge maggiormente il nostro rapporto con il cibo e con gli altri, i famigliari a casa o distanti, i parrocchiani cercati per come era possibile o in stand-by, e magari il tempo per qualche esercizio fisico o una buona lettura…

Un passaggio della pagina dell’Apocalisse dice così: “A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”. Questo passaggio mi suggerisce cosa può avermi svelato una agenda di colpo diventata intonsa: accorgermi di chi mi ama, accorgermi delle presenze, dei volti, delle relazioni. E soprattutto per me prete, vescovo, accorgermi della presenza di Gesù, colui che mi ama. E’ questo l’unico appuntamento rimasto scritto: un incontro di amore con Gesù. Questo è l’appuntamento che, anche nell’agenda che si riempirà, dovrà rimanere ben fissato e fuori discussione.

Tante cose sfoltite…

Pensate ancora alle liturgie di queste settimane, al blocco della benedizione delle famiglie, alla chiusura delle aule di catechismo… e dove è andato a finire il nostro impegno di preti? Dove è andato a finire l’impegno di sacerdoti per la lode del popolo di Dio, di discepoli dediti all’annuncio?

Già dicevamo che, chi ha voluto, non si è risparmiato dal cercare le vie possibili, spesso con i social, per l’annuncio, per far risuonare la Parola del Signore. E in effetti abbiamo vissuto credo un tempo eccezionale di semina, di capillare e feconda diffusione della Parola di Dio che ha raggiunto le persone nelle loro case. E si è riscoperto un desiderio della gente rispetto all’ascolto di questa Parola, al vivere,  pure a distanza, un rosario, un momento di preghiera o seguire la Messa a distanza. E nuovi cammini di fede si sono sperimentati e potremmo raccontare. Sorprendente! Mentre eravamo spogliati del nostro consueto modo di annunciare la bella novella,  il vangelo non si è fermato, anzi ha trovato nuove strade e si è diffuso in modo sorprendentemente nuovo.

Ce lo ricorda la prima lettura: il profeta invoca per il suo ministero, per la sua missione il dono dello Spirito del Signore Dio. Quello Spirito “mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati…”. Nei giorni del lockdown c’è stata una forza e una vivacità dello Spirito che ha chiamato, ha mandato, ha guidato e reso fecondo l’annuncio. Pensate a quante persone hanno seguito la messa del papa delle 7; pensate alla forza “mondiale” della preghiera del papa, da solo, in piazza San Pietro e a quelli che hanno affollato il web per nutrirsi di Parola di Dio o ai nostri fedeli davanti a tablet o computer per seguire la messa in streaming.

Ecco cosa dovremo custodire, rinnovando: l’annuncio. Sentiamoci chiesa, preti, comunità nuovamente chiamata all’annuncio, a sprigionare un po’ di più la fantasia e la forza dell’annuncio.

Ah, ma una domanda non vorrei dimenticarmi. E a te, prete, il vangelo è stato annunciato in queste settimane? Ti ha raggiunto? Ha toccato il tuo cuore? Potremmo dire con lo spirito pasquale: il Signore è risorto e lo si incontra. E tu? In queste settimane, dove hai incontrato il Risorto? Sarebbe il regalo più bello del lockdown.

In queste tempo poi sono venute meno tante sicurezze. Non solo la paura per la salute, per la vita, la paura del contagio. Ma anche incertezze nella vita della gente sul futuro, sul lavoro, sulla stabilità e sicurezza economica, sulla ripresa…

Vi avevo chiesto tempo fa di annotare, di ricordarvi di tutte le occasioni, le situazioni che in questo momento di sperimentata fragilità e incertezza, di bisogno sono espressione vera e efficace della carità, della solidarietà, della condivisione. E non parliamo solo di soldi. Anche a voi preti, come è stato per i vescovi, abbiamo rivolto l’invito a devolvere uno stipendio mensile per far fronte ai bisogni dei più poveri, di chi avrà difficoltà per il lavoro. Ma oltre ai soldi, quanti gesti di bene abbiamo visto. Non si smetterebbe di raccontare cosa hanno fatto i giovani, cosa hanno vissuto, a rischio della loro vita, medici e infermieri… Non saremmo stati capaci da soli di mettere in campo, nella normalità, una tale energia di carità, di condivisione. Ma noi ne siamo testimoni. L’annuncio, la Parola non si diffonde solo con il suono della voce, ma è raccontata nella vita, nelle scelte, nella carità vissuta.

Ce lo ricorda la parola di Gesù nel vangelo, una parola che, riprendendo il profeta, risuona nella sinagoga di Nazaret: “portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; proclamare l’anno di grazia del Signore”. E aggiunge Gesù: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Ecco la domanda che può accompagnarci nel guardare a questi giorni: nella vita delle nostre comunità si è compiuta la Scrittura che abbiamo ascoltato? Lo abbiamo visto, nelle mani e nei piedi, negli sguardi e nei sorrisi, nelle lacrime e nelle preghiera di tanta gente, dai più anziani ai giovani, e grazie a loro possiamo dire: Oggi si è adempiuta la Scrittura, la legge dell’amore.

E anche questa è la strada da percorrere e il distintivo che non potrà mancare a comunità rinnovate, comunità vivaci e dinamiche nell’amare e nel promuovere accoglienza e solidarietà.

Cari preti, confermeremo tra poco le nostre promesse sacerdotali… e benediremo gli oli sacri, segni dell’annuncio e della operosità del vangelo. Questi gesti sono veri se racchiudono un annuncio tra di noi, che dice: “Ho visto il Signore”. E sia questo il compito che ci assumiamo. A noi il compito di andare a dire: “Io ho visto il Signore!”. Dove? Raccontiamolo! E domani, Pentecoste, potremo annunciare che lo Spirito Santo che scese su quegli apostoli che ancora erano disillusi e tristi, visita, inonda anche noi e così invocheremo la sua sapienza per confermare la fede nella sua presenza accanto a noi.