A uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare che tra fede ed economia non ci sia alcun rapporto, l’una riguardando la salvezza eterna dell’uomo, l’altra preoccupandosi invece dei beni terreni. Soltanto però un approccio piuttosto miope potrebbe consentire a una tale visione.
L’uomo infatti è chiamato a una salvezza piena, complessiva, integrale, a fiorire in una vita piena e traboccante di gioia. Vi è chiamato in tutte le sue dimensioni e attraverso una vita terrena che è fatta di cose terrene; il percorso della sua salvezza passa attraverso la concretezza delle cose della terra, il rapporto con tutte le realtà del mondo e la concretissima relazione con gli altri.
L’essere umano chiamato a salvezza, è un essere sociale, relazionale, posto cioè in relazione costitutiva con Dio e con gli altri, dotato di una dignità originale, intangibile e inalienabile che lo colloca al di sopra e al centro di ogni altra realtà del creato. La sua stessa natura lo rende bisognoso di beni materiali per potersi sviluppare, beni che non può produrre totalmente da sé. Ha bisogno degli altri. Essendo formato di anima e corpo, la possibilità stessa del suo sviluppo umano è data necessariamente anche dai beni materiali, ma questi rimandano inevitabilmente a una relazione con altri uomini. La relazionalità dell’uomo si vive anche attraverso i beni materiali e questi, a loro volta, rimandano alla relazione tra persone. Si può dire allora che il rapporto dell’uomo con i beni è questione antropologicamente rilevante e per forza di cose ogni uomo che si confronta con essi, con la loro produzione, la loro scarsità, la loro abbondanza, s’incontra anche con gli altri esseri umani: nella questione dei beni materiali si giocano i rapporti umani, e il senso che si da alla vita influenza il modo di produrre e trattare i beni materiali. […]