(Letture Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18)
La liturgia della notte di Natale è piena dello stupore e della tenerezza dei pastori che adorano il bambino nella notte di Betlemme (cfr. Lc 2,1-14). La liturgia di stamani, ossia del giorno, ci mette invece davanti al mistero di quell’evento – all’apparenza così umile – che si compie: Dio che viene nel mondo (cfr. Gv 1,1-18). San Giovanni nel prologo del suo Vangelo afferma: «Dio nessuno l’ha mai visto». Chi è Dio? Noi usiamo questa parola – “Dio” – per indicare quel “Tu” misterioso che fa tutte le cose, che ci dà la vita in ogni istante, ma nessuna mente è capace di capire chi è Dio. Giovanni aggiunge ancora: «Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è Lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). Lo ha rivelato in questo modo sconvolgente e impossibile da immaginare: facendosi uomo. Questo vuol dire che la Totalità abbraccia l’universo intero (noi ci perdiamo solo a pensare alle dimensioni dell’universo), che tutto l’universo è contenuto dentro la divinità infinita e misteriosa di questo Padre. Anche il nome “Padre” ce lo ha rivelato Gesù, sennò davanti a Lui ci potremmo sentire come l’argilla nelle mani del vasaio, come dicono i salmi; cioè come una cosa davanti al suo padrone. E invece Gesù ci ha insegnato a dire «Babbo», a dire «Abbà» al Mistero che fa tutte le cose, perché ci ha rivelato che il mistero di Dio è amore infinito. È solo amore!
Ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero d’amore che noi viviamo manifesta, in qualche modo, il riflesso di Dio, il nostro essere a immagine e somiglianza sua. Ma se non fosse venuto Gesù, forse noi penseremmo che questo impeto che vive dentro di noi, dell’amare e dell’essere amati, il desiderio di dare noi stessi e il desiderio di essere voluti bene, penseremmo che sono solo sentimenti, troppo fragili davanti alla durezza di tante cose che accadono nel mondo. Invece Gesù ci rimette davanti alla coscienza piena di gioia e di gratitudine, che questa è proprio la profondità di Dio, è Lui, è il mistero del Suo amore e – come ha detto la seconda lettura (Eb 1,1-6) e lo abbiamo detto anche nel Salmo – questa luce che è entrata nel mondo con Gesù è perché tutto il mondo ne sia pervaso, anzi, ne è già pervaso.
Pochi giorni fa è morto in Paraguay un sacerdote italiano di cui posso dire di essere stato amico, padre Aldo Trento, che ha dato una testimonianza incredibile. Una ventina d’anni fa, dopo che già da tanti anni era in Paraguay, è scattato in lui qualcosa… incominciò ad accogliere tutti… Non so quanti bambini ha adottato, bambini abbandonati da tutti, con malattie gravissime o che nessuno voleva, che vivevano per la strada, e lui li ha adottati e ha dato a tutti il suo cognome. Poi a un certo punto ha cominciato a raccogliere i moribondi buttati nella spazzatura, gente abbandonata con i vermi addosso, e lui se li portava a casa e li curava o semplicemente li accompagnava alla morte. E da questo è nata un’opera grande, che adesso è una grande clinica di cure palliative, dove ancora si accolgono lebbrosi, persone che non hanno più nulla e nessuno e, quando arrivano lì, si sentono e si scoprono amati come mai si erano accorti di essere amati.
Mi ricordo che una volta raccontava che avevano raccolto uno di questi poveretti, che era pieno di vermi e dopo averlo lavato e curato, stava mangiando la minestra e rideva, rideva, rideva… Allora padre Aldo gli chiese: «Perché ridi?». Il poveretto credeva di essere morto, di essere già in Paradiso, ed era contento perché si sentiva in Paradiso. Ecco, padre Aldo è morto due giorni fa.
Quella luce, quella tenerezza che noi contempliamo nel Bambino Gesù, in quanti angoli del mondo si rende oggi visibile nelle braccia, negli occhi, nella voce di persone che diventano Gesù. Siamo fatti «figli nel Figlio», dice la liturgia di oggi.
Se vogliamo, diventiamo anche noi Gesù e possiamo esserne le mani, il cuore, gli occhi, le parole, in questo mondo che ne ha tanto bisogno. Noi perciò, dopo essere stati in questa notte pieni di gioia – come voi bambini quando avete scartato i regali – e come saremo contenti tra poco, nei nostri pranzi di Natale con le nostre famiglie, in questo calore della famiglia che un po’ riproduce la gioia della prima, così strana, famiglia di Nazareth e di Betlemme, noi oggi viviamo questa gioia donata da Gesù, e con la nostra disponibilità, con la nostra semplicità e anche con la nostra umiltà, possiamo farcene testimoni e protagonisti, oggi, in questo mondo che lo aspetta.
Chiediamo perciò di essere portatori della gioia del Natale, che quest’anno si prolunga per tutto l’anno nel Giubileo della misericordia del Signore. Il Signore ci offre tutto il suo aiuto, perché il nostro sì possa essere pieno e possiamo anche noi essere una scintilla, un riflesso di questa luce che è entrata nel mondo più di duemila anni fa, e che vuole arrivare a illuminare e a riscaldare il cuore di ogni uomo.
+ Giovanni Paccosi