E’ questo che ho sperimentato in diversi modi nel corso degli anni della fanciullezza e anche poi negli anni del seminario. Su ognuno di noi Dio ha un progetto bellissimo, un progetto grande. Come dice la Scrittura: «ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno» (Sal 139). Dio ha scritto una storia e piano piano ci accompagna e ce la fa scoprire. Ci propone i suoi progetti, ci propone la sua storia con noi.
Quando noi rifiutiamo i suoi progetti per i nostri, la nostra vita si complica, entriamo come in una rete, veniamo come legati e sperimentiamo continuamente la frustrazione: la distanza, cioè, tra quello che pensavamo di poter fare e quello che poi concretamente facciamo. Nel concreto questa frustrazione è la distanza tra quello che noi pensavamo ci facesse felice e la felicità.
Ma il Signore è paziente e sa aspettare. E nella misura in cui tu gli apri il cuore, anche se poco, perché non riesci ad aprirlo più di così, lui entra e piano piano opera la sua liberazione.
Proprio come ci testimonia la Scrittura. Il Signore dice una parola, pronuncia una promessa sulla tua vita, sulla tua storia. L’uomo si chiede come possa accadere, non vede dove vede Dio, ragiona in un modo diverso. E durante l’esodo spesso, anche dopo aver accettato di lasciarsi guidare da Dio ed aver sperimentato piccole liberazioni, torna a «mormorare» contro di lui come Israele faceva nel deserto. Ma il Signore è fedele. Tu non sai come, ma lui piano piano porta a compimento la sua opera. Apre strade nel deserto, fa scaturire acqua dalla roccia, abbatte grandi sovrani, faraoni e re. E realizza la sua storia.
Certo nel fare questo non ti libera dalla fatica, non ti fa capire tutto. Ti chiede solo fiducia. Questa fiducia in lui, noi la chiamiamo fede. «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1).
Negli anni di formazione in seminario non sono diventato “pronto a tutto”. Molti in questi giorni mi chiedono se mi sento pronto, altri, più lontani dalla fede, si congratulano per aver raggiunto “la tua meta”. Non mi sento affatto degno. E lo scrivo. Non mi sento affatto di aver raggiunto una meta. La mia storia con Dio è iniziata il giorno in cui sono stato concepito e non avrà mai fine. Non sono arrivato ad una meta. E non è neppure mio questo ministero, è a servizio della Chiesa, che è di Dio. Io sono solo un servo inutile. Anzi, negli anni del seminario ho sperimentato ancora di più i miei limiti e le mie povertà. L’unica cosa che ho capito – e a questa sola posso appigliarmi e posso testimoniarvi – è che Dio è fedele! Ci ama e non ci abbandona al nostro peccato.
Noi cristiani non siamo uomini esenti dall’errore. Non siamo senza peccato. Non sappiamo dare risposte da ogni domanda. Noi abbiamo accettato di metterci nelle mani di Dio. Ci fidiamo di Lui. Viviamo anche le sofferenze della vita ma con la certezza che la storia è nelle Sue mani e alla fine ognuno di noi lo incontrerà. La nostra condizione odierna finirà e Gesù ci prenderà con se, come ci ha promesso. Allora, asciugata ogni lacrima, rincontreremo anche i nostri cari che ci hanno già lasciato. E «in quel giorno non gli domanderemo più nulla» (Gv 16,23).
Pur con le mie miserie, senza sapere perché Dio abbia scelto uno come me, lo ringrazio e benedico. E dico a te, amico che leggi, se già non lo hai fatto: apri il tuo cuore a Dio. Non aspettare. Dio opera prodigi nella vita di chi si affida a lui. Chi incontra Dio nella sua vita non può farne più a meno. Guardando Gesù, anch’io testimonio con l’evangelista: «non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2, 12), «ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Mc 7,37)”.