ARTICOLO

Monsignor Perego: la sfida dei migranti interpella la Chiesa

di Francesco Fisoni

«Chiesa e società in un’epoca di migrazioni». Si è cimentato su questa tematica vasta e complessa monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, invitato mercoledì 11 aprile a San Romano dal nostro vescovo Andrea. Ne è scaturita una riflessione densa, articolata e coerente che ha sottolineato quanto la questione dei moderni flussi migratori costituisca per la Chiesa Italiana una sfida di portata epocale. «Il lavoro da fare sarà soprattutto quello di aiutare a superare paure e pregiudizi, promuovendo conoscenza, dialogo e collaborazione». I dati snocciolati da Perego sono impressionanti: dal 2014 a tutto il 2017 sono arrivati sulle coste italiane oltre 620.000 persone (una popolazione pari quasi a tutti gli abitanti di una grande città come Palermo). Di questi ben 65.000 erano minori non accompagnati. Questi numeri nella loro freddezza statistica cristallizzano l’evidenza che negli ultimi 25 anni l’immigrazione nel nostro Paese è esplosa: basti pensare che nel 1991 in Italia risiedevano complessivamente 354.000 immigrati, mentre oggi siamo arrivati a oltre 5 milioni di persone. Come se l’intera metropoli di Roma fosse costituita interamente da immigrati. Praticamente un aumento di ben 14 volte in un quarto di secolo; ed è sotto gli occhi di tutti come questo fenomeno stia cambiando la vita delle nostre città e delle nostre famiglie.
Secondo il vescovo ferrarese, sono cinque gli ambiti in cui emerge immediatamente questa «rivoluzione» in atto nella vita del nostro Paese. Innanzitutto è cambiato il mondo del lavoro, con circa 2 milioni e mezzo di lavoratori stranieri, che realizzano un contributo economico decisivo per la nostra nazione. A cambiare è poi anche l’assetto della famiglia: ad oggi oltre 2 milioni di famiglie in Italia sono costituite da popolazione immigrata; mentre sono 69 mila i nuovi nati da madri straniere nel corso del 2016, che rappresentano un supporto indispensabile al nostro sbilanciato andamento demografico. Un matrimonio su dieci nel 2016 è stato poi un matrimonio misto tra italiani e immigrati. Questi tipi di legami costituiscono una frontiera complessa per la Chiesa italiana, suggestiva e promettente della convivenza tra persone di diverse tradizioni culturali e religiose.
La famiglia italiana cambia poi anche in un altro senso: in almeno un milione di nuclei familiari è presente una badante di origini straniere per anziani e minori. Altro ganglio cruciale della società che cambia è la scuola. Gli 814 mila alunni stranieri, costituiscono un vero e proprio mondo in classe, e anche le nostre Università da tempo si misurano con questo fenomeno, dato che ogni anno sono 11 mila gli studenti stranieri che si laureano nei nostri atenei. A cambiare sono poi le città, e cambia anche la comunità cristiana, la parrocchia, in quanto l’immigrazione ha portato i cattolici italiani a misurarsi con l’esperienza di fede di cristiani provenienti da tutto il mondo. Degli oltre 5 milioni di immigrati, 950.000 sono cattolici. Si tratta di fedeli che ci raggiungono con espressioni e modi di essere inediti. Mediamente in una parrocchia di 3000 abitanti, ci sono già oggi 200 persone straniere.
Quali prospettive pastorali e sociali pone tutto questo? Sicuramente i volti dei migranti chiedono una comunità attenta ad «accogliere», «tutelare», «promuovere», «integrare». Sono – non a caso – i quattro verbi che anche papa Francesco ha usato nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018. A partire da questi verbi, monsignor Perego ha sottolineato alcune prospettive pastorali che possono aiutarci ad andare oltre l’accoglienza: occorre innanzitutto rimettere al centro una nuova pastorale per la famiglia. Uno degli aspetti pregnanti della sfida è dato proprio dalle dinamiche familiari e degli affetti. Occorre una riflessione acuta e netta sulla preparazione al matrimonio di queste famiglie «assortite». È necessario sviluppare nuovi modi per insegnare a vivere la dimensione affettiva: rapporto uomo e donna, genitori e figli, sessualità, ecc.
Un’ altra pista interessante di lavoro pastorale, la cui problematicità oggi è accentuata nel dibattito culturale e politico, è il tema della cittadinanza, della partecipazione attiva alla vita della città. Non solo è importante il tema della costruzione di una città di «eguali tra disuguali», ma anche di «uguali tra differenti». Connessa poi al tema della tutela dei diritti è l’attenzione che va portata alla questione della precarietà e della mobilità nel lavoro degli immigrati. La precarietà e l’irregolarità lavorativa è una prospettiva nuova, che chiede anche un cambiamento legislativo. Non possono continuare ad esistere situazioni esplicite di illegalità e di sfruttamento lavorativo, limbi dove non è riconosciuta cittadinanza e tutela, o dove si alimentano mafie e corruzione. In tutto questo poi non possiamo dimenticare i più deboli tra i deboli. Qui il pensiero di monsignor Perego corre a differenti categorie umane: innanzitutto alle migliaia di minori arrivati in Italia senza famiglia e per i quali è d’obbligo costruire un percorso di accompagnamento e assistenza; esprime poi forte preoccupazione per le 50mila donne di 60 nazionalità diverse, con età media prossima ai 21 anni, ridotte a prostitute di strada. Ricorda il peso sempre più grave degli aborti delle donne straniere sul numero totale degli aborti in Italia; così come la crescita dell’abbandono scolastico tra i bambini stranieri. Tutela della famiglia, cittadinanza, cura delle fragilità sono insomma le tre prospettive di lavoro cui la sfida pastorale e sociale delle migrazioni ci obbliga a rivedere la nostra azione ecclesiale. Monsignor Perego scomoda in chiusura Michel De Certeau, suggerendo che è necessario «guardare altrove», nel senso che la nostra salvezza è sempre a noi estranea, «è alloggiata altrove», non può risiedere in noi, chiede la ricerca dell’altro, l’incontro e l’accoglienza. È questo l’eterno magistero di una Chiesa che non ha e non può avere frontiere.