San Genesio martire
La versione più antica degli Atti a lui relativi, racconta che Genesio, nativo di Arles, entrato giovanissimo nella milizia imperiale, vi esercitava l’ufficio di notarius o stenografo. Scoppiata la persecuzione, abbandonò il suo incarico e fuggì, nascondendosi ai persecutori. Essendo ancora catecumeno, chiese di essere battezzato, ma il Vescovo non poté assecondare questo suo desiderio per la calamità dei tempi e per la sua troppo giovane età. Nella fuga Genesio fu sorpreso dai persecutori presso il Rodano; allora il giovane attraversò il fiume, ma sull’altra sponda fu catturato e ucciso. I cristiani conservarono memoria del luogo dove fu ucciso lasciandovi cruoris vestigia, e trasportarono i suoi resti all’altra sponda. Si era nell’anno 303 circa, durante la persecuzione degli Augusti Massimiano e Diocleziano.
Al di là della controversia sull’autore della Passio – un certo vescovo Paolino, variamente identificato con Paolino di Nola o con Paolino, Vescovo di Béziers (ca. 400-419), ciò che interessa è la testimonianza dell’agiografo che dichiara di aver messo per iscritto la tradizione orale e di averla riprodotta fedelmente. A prova di tale autenticità si può aggiungere il fatto che il racconto, povero di notizie, sembra averci tramandato la tradizione su Genesio, giunta fino al secolo V quasi inalterata nelle sue linee essenziali.
A questa scarna ed essenziale tradizione vanno aggiunte altre due testimonianze sul culto del martire di Arles. Una è di Prudenzio e l’altra è di Venanzio Fortunato. Anche se solo semplici menzioni del martire, i due passi, collocati nel contesto dei rispettivi componimenti, presentano Genesio come il martire di Arles: a somiglianza delle altre città della Gallia e della Spagna, che offrono a Cristo il dono dei loro martiri, Arles offre il proprio, Genesio, la cui tomba venne visitata dal Vescovo Apollinare di Valenza; si ha notizia da San Gregorio di Tours di numerosi miracoli ivi avvenuti.
La diffusione del suo culto in altre città della Gallia e regioni d’Europa, ha dato origine a localizzazioni e sdoppiamenti della figura del martire arelatense. Si conoscono, infatti, un Genesio di Alvernia, uno di Béziers, uno con Anastasio prete e Placido, un Genesio di Barcellona, uno di Cordova, uno de la Xara presso Cartagine in Africa, uno di Roma, mimo. Per tutti questi con quasi certezza si tratta del medesimo santo di Arles.
Presso la città di San Miniato il culto di Genesio è accertato almeno dal secolo VII, come si evince da un documento della Chiesa di Arezzo, relativo a un Concilio di Vescovi toscani, tenuto nel 715 presso la pieve di San Genesio di Vico Wallari lungo la Via Francigena. Dopo che i Sanminiatesi distrussero Vico Wallari nel primo trentennio del secolo XIII, il titolo di quella antica pieve fu trasferito nella chiesa di Santa Maria in San Miniato, elevata poi a cattedrale nel 1622. Papa Gregorio XV innalzò Genesio a patrono della Diocesi per l’antica e radicata tradizione di culto che gli era tributata nel territorio locale.
San Miniato martire
La più antica notizia su questo martire di Firenze è individuabile in un diploma di Carlo Magno del 786, dove si fa menzione della basilica martiris Christi Miniatis, sita Florentie, ubi eius venerabile corpus requiescit. Ma chi fosse Miniato non possiamo dire con certezza. La sua passio, infatti, oltre a non essere molto antica, è anche dichiaratamente leggendaria.
In essa si legge che Miniato, arrestato durante la persecuzione di Decio e sottoposto a svariati tormenti da cui uscì sempre illeso, fu infine decapitato il 25 ottobre del 250 circa, sul monte sopra Firenze dove oggi sorge la basilica in suo onore.
L’ipotesi più probabile è che, sul monte di San Miniato, esistesse già dal secolo VI un oratorio dove erano state traslate alcune reliquie del famoso martire egiziano Menna, divenuto in seguito un santo del luogo. Questa ipotesi non contraddirebbe il diploma carolingio, dal momento che in quell’epoca, anche per semplici reliquie, si parlava di “corpo”.
La tradizione, che lo vuole soldato di stanza a Firenze, è dovuta esclusivamente all’arbitrio del cardinale Baronio, perché questa qualifica non si trova nella passio leggendaria e neppure è confermata dalle più antiche immagini che lo raffigurano (secolo XIII).
Nella nostra città si ha notizia di un oratorio, oggi inglobato nella monumentale chiesa di San Francesco, costruito, in onore del martire fiorentino, intorno al 700 da 17 uomini longobardi con il consenso di Bàlsari, Vescovo di Lucca dal 686 al 714. Ne fa fede una lettera di Giovanni, Vescovo di Lucca, del 16 gennaio 783.