Annunciazione del Duomo di San Miniato
Giroldo da Como (Giroldo di Jacopo da Lugano)
La sua nascita deve situarsi intorno al 1225.
Fa parte di un gruppo considerevoli di architetti, maestri muratori e scultori, i maestri comacini, che dal nord della Lombardia e dal Ticino lavorarono stabilmente in epoca romanica in Toscana, soprattutto a Lucca, ma anche in tutta la regione. Di lui conosciamo con certezza almeno tre opere: un bassorilievo raffigurante la Madonna in trono fra i santi Pietro e Paolo, di Montepiano, ora al Museo diocesano di Prato, il grande Fonte battesimale nel duomo di Massa Marittima del 1267, con Storie della vita di Cristo, e il nostro bassorilievo raffigurante l’Annunciazione.
La sua opera, poco documentata, ci mostra un artista che, dai riferimenti bizantini del romanico, in cui le figure erano rigidamente composte in mosso quasi simbolico, vive il passaggio al gotico e al classicismo che possiamo vedere più definito nei contemporanei Nicola Pisano e Arnolfo di Cambio con la riscoperta della figura umana e della drammaticità delle espressioni. La sua morte di colloca nell’ultimo decennio del XIII secolo.
Collocazione dell’opera
L’Annunciazione faceva originariamente parte della decorazione del pulpito della Chiesa originaria di Santa Maria Assunta, pulpito di cui è documentata l’esistenza almeno fino al XVI secolo, come si può desumere da una nota di Scipione Ammirato, che nel suo “Delle famiglie nobili fiorentine” scrive: “nella Chiesa della prepositeria di S. Miniato al Tedesco in un pergamo posto sopra quattro colonne...”[1] Una volta che la propositura divenne cattedrale, l’Annunciazione fu poi collocata sulla parete del transetto destro, in uno dei restauri dei secoli successivi. Dopo le lesioni della guerra e un lungo restauro, fu spostata, mancante di alcuni frammenti, nell’attiguo Museo Diocesano dove si trova attualmente.
[1] «Cialdo figliuol di Rinieri oltre la genealogia latina, che dice essere stato Podestà di Pistoia l’anno 1256, magistrato in quel tempo si somma autorità in tutta Italia, apparisce di lui anchor memoria nel Libro dei Censi, secondo le fedi stateci mandate da Pistoia; & pare che così sia stato anchor Podestà nell’anno 1267, nel quale in un consiglio generale in nome della città, & suo con altri Consiglieri giura fedeltà al Re Carlo primo contra Curradino, si come Dego, suo fratello, che di Bertacca ragionerem poi, apparisce nella Chiesa della prepositeria di S. Miniato al Tedesco in un pergamo posto sopra quattro colonne egli essere stato l’anno 1274, Podestà di essa terra per lo detto Rè Carlo, le cui parole son queste. FACTUM EST HOC OPUS TEMPORE POTESTERIAE NOB. VIRI DOMINI DEGI DE CANCELLERIS DE PISTORIO DEI AC REGIA GRATIA POTESTATIS COMMUNIS SANCTI MINIATI &c. La moglie di questo Cialdo detta Iacopa, si dice essere stata la prima suora ammantellata dell’ordine de Servi l’anno 1279, il qual ordine, incominciato da sette compagni in Monte Asinaio, l’anno 1233, dicono essere stato ricevuto in Pistoia l’anno 43, havendo Marsilio Cancellieri Canonico Pistolese, il quale nell’albero non è posto, conceduto la Chiesa di Santa maria della Novelletta, onde egli era rettore, posta fuor della porta de Cancellieri d un luogo chiamato al poggio con alcuni terreni intorno, a’ Frati di esso ordine». (Scipione Ammirato [1531-1601], Delle Famiglie Nobili Fiorentine, 1530, Edizione Donato Giunti e compagni, Firenze MDCXV, p. 51; vedi anche: Historia della famiglia Cancelliera di Pistoia descritta dal sig. Scipione Ammirati nel suo Libro delle Nobil’ Famiglie di Toscana. E in questa forma ristampata ad istanza del Signor Theodoro Cancellieri di Pistoia. Appresso i Bizzardi, in Venetia MDCXXII, pp. 8-9).
Iconografia e significato
L’opera si presenta di una raffinatezza straordinaria, in cui si legge una marcata spazialità e libertà di composizione. Vediamo l’angelo dotato di movimento e dinamicità. I suoi piedi non poggiano sul pavimento: sta appena arrivando. Si nota, iniziale, quel realismo che fiorirà con l’arte del trecento e soprattutto con Giotto. Anche la Madonna che si piega in una posizione leggermente concava, come preparandosi ad accogliere, manifesta questa dinamicità.
L’angelo avanza in uno sfondo liscio, uniforme. È il modo dello scultore per evocare il mistero, quasi per esprimere nel marmo l’oscura luminosità del divino, da cui l’Angelo entra nella dimensione fisica della realtà sensibile per annunciare a Maria. Annuncia ciò che si sta compiendo: lo Spirito come colomba si sta librando in attesa della risposta di Maria. I due protagonisti parlano, e le parole sono incise nella pietra: AVE MARIA GRATIA PLENA DOMINUS TECUM, dice l’Angelo. Maria risponde, con la mano sul cuore e l’altra che si tiene la veste quasi a nascondere la sua intimità di Donna, il suo ventre benedetto: ECCE ANCILLA DOMINI FIAT MIHI SECUNDUM VERBUM TUUM. Le sue parole sono scritte da destra a sinistra, come per non alterare la fonte delle sue labbra e la direzione da Maria all’Angelo. Un istante del tempo che rimane eterno.
La figura di Maria si trova all’interno di una struttura architettonica: una cupola a tre lobi su due colonne che richiama al Tempio di Gerusalemme, e Gerusalemme stessa, con le torrette e le mura merlate che coronano la costruzione. Maria riempie con la sua figura tutto spazio sacro del Tempio, luogo della presenza di Dio nel mondo. La colomba scende dal cielo, fuori del Tempio, che rimane così nel passato, come uno stadio ormai superato, perché lo Spirito riempie di grazia Maria, il nuovo Tempio di Dio nella storia. Inizia il cristianesimo.
Lo scultore afferma che, con l’incarnazione, il luogo fisico della presenza di Dio non è più il tempio di pietre, ma il tempio vivo che è Maria, Madre di Dio e con Lei la Chiesa, di cui è simbolo vivente.
La piccola figura d’uomo seduto in basso a destra, guarda e medita, lui piccolissimo, questo mistero immenso da cui tutto inizia. Sembra un piccolo autoritratto di Giroldo, come partecipasse lui stesso alla scena. Lo scalpello e il maglio nella sua mano fanno fede a questa probabile interpretazione. Come a dire a chi guarda che quell’evento rimane presente in ogni tempo, nel tempo di Giroldo e nel nostro.
Il riquadro con l'iscrizione e lo stemma
Sulla lastra a fianco del bassorilievo, oltre allo stemma della famiglia Cancellieri (in origine azzurro e oro con un porco passante) si trova una importantissima iscrizione, in cui è riportato il nome del committente, dell'autore e la data, 1274.
FACTUM EST HOC OPUS TEMPORE POTESTARIE NOBILIS VIRI DOMINI DEGI DE CANCELLARIIS DE PISTORIO DEI ET REGIA GRATIA POTESTATIS COMMUNIS SANCTI MINIATI PER MAGISTRUM GIROLDUM QUNDAM IACOBI DE CUMO SUB ANNO DOMINI MCCLXXIIII
(Quest’opera fu realizzata durante l’autorità del Nobiluomo Signor Dego dei Cancellieri di Pistoia, per la grazia di Dio e del Re, Podestà del Comune di San Miniato, dal maestro Giroldo di Iacopo da Como nell’anno del Signore 1274).
Le note seguenti sull’iscrizione fanno della nostra Annunciazione una testimonianza fondamentale di vicende storiche di rilevanza mondiale, che come accadrà in altri momenti decisivi, passano per San Miniato.
Il committente: Dego Cancellieri
La figura di Dego Cancellieri, è attestata storicamente. Faceva parte di una importante famiglia guelfa di Pistoia che dette origine alla separazione tra Guelfi bianchi e Guelfi neri. Era uno tra i 9 figli di Ranieri Cancellieri, e fu nominato Podestà di San Miniato il 1 settembre 1273 da Carlo d’Angiò, e indirettamente dal Papa (beato) Gregorio X. Vi esercitò la carica fino alla fine del 1274, anno in cui fu realizzato il pulpito. Fu poi Podestà a Parma e Capitano del Popolo a Siena.
Carlo d’Angiò
Il rapporto tra Carlo d’Angiò (fratello di San Luigi IX, Re di Francia) e San Miniato è tema da approfondire, perché la sua tutela sulla città in opposizione alla presenza imperiale, è la radice dell’indipendenza del Comune conquistata pochi anni dopo. I Sanminiatesi, sempre condizionati dalla presenza degli Svevi, avevano a lungo ondeggiato tra essere Guelfi e Ghibellini, ma dopo che Carlo d’Angiò, nel 1266, aveva sconfitto Ranieri di Sicilia che rivendicava l’Impero, si trovarono nella sfera d’influenza del Papato anche se nella rocca continuava la presenza imperiale. Il Comune fu quindi amministrato dal Podestà Dego Cancellieri, persona di fiducia di Re Carlo, per un periodo di un anno, proprio il 1274, “per grazia del re”, Carlo d’Angiò e “per grazia di Dio”, perché Carlo d’Angiò agiva in nome del Papa, che lo aveva nominato Vicario Imperiale della Toscana in opposizione alla presenza dell’impero. Pochi anni dopo gli imperiali dovettero ritirarsi dalla città e non vi fecero mai più ritorno.
Papa Gregorio X
Il Papa beato Gregorio X (Tedaldo Visconti, Piacenza 1210 - Arezzo 1276) a sua volta è una figura storica importantissima. Fu il primo Papa eletto in un Conclave, quello di Viterbo, nel 1270, dopo una vacanza di quattro anni. Eletto quando era Arcidiacono della diocesi di Liegi fu ordinato sacerdote e Papa in pochi giorni. Uomo di grande equilibrio umano e soprattutto di grande fede, visse dentro una rete di rapporti con le personalità più straordinarie della Chiesa del tempo: da San Luigi IX (San Luigi dei Francesi) fratello di Carlo d’Angiò, a san Bonaventura da Bagnoregio, secondo successore di San Francesco alla guida dell’ordine francescano e a san Tommaso d’Aquino, da san Filippo Benizi dei Servi di Maria a Sant’Alberto Magno, dal Papa suo successore a sua volta beato Innocenzo V a Pietro da Morrone (Celestino V).
Nel suo Pontificato indisse il Concilio di Lione in cui la Chiesa cattolica e quella Ortodossa greca si riunirono in una pur breve riconciliazione. Nel Concilio tentò la soluzione dei problemi della Terra Santa e intraprese una riforma della vita del clero.
Nelle dispute con l’Impero cercò di metter pace tra guelfi e ghibellini, e giunse alla riconciliazione con l’imperatore Rodolfo di Svevia. Fu amico di Marco Polo al quale affidò tre lettere per l’imperatore di Cina, e del Re Alfonso X il saggio di Spagna, di poveri e ricchi, nobili e plebei.
Morì un anno e mezzo dopo la realizzazione dell’Annunciazione di Giroldo da Como, ad Arezzo, il 10 gennaio 1276, ritornando a Roma da Lione, ed è sepolto proprio nel Duomo di Arezzo, costruito grazie anche a un ingente lascito suo. Dopo la morte nacque uno spontaneo culto popolare nelle città di Liegi, Lione, Piacenza ed Arezzo. Fu beatificato da Clemente XI nel 1713.
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