La cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio martire

La Cattedrale intitolata a Santa Maria Assunta e San Genesio martire ha alle proprie spalle una storia secolare. La chiesa, denominata di Santa Maria in Sala, era la parrocchia­le dei Vicari Imperiali al tempo di Federico I Barbarossa, affac­ciata su un vasto spiazzo deli­mitato da edifici di corte e di governo.

Nel 1194, in una bolla di papa Celestino III, si fa menzione di una chiesa, dedicata a Santa Maria, dipendente dal­la pieve di San Genesio in Vico Wallari, presso cui risiedeva un vicario foraneo del vescovo di Lucca, diocesi alla quale San Miniato apparteneva. È nel 1236 che, per la distanza dalla pieve di San Genesio, la chiesa di Santa Maria ottenne il diritto di fonte battesimale e quello di seppellire. Una volta distrutto il Bor­go di San Genesio nel 1248, la chiesa si trasformò in pieve e acquisì anche il titolo di San Genesio.

La storia della Pieve di Santa Maria è strettamente legata alle vicende storico-politiche che vedono San Miniato al centro delle lotte comunali. Non a caso, venuta la città sotto il dominio fiorentino nel 1369, la chiesa fu ridotta ad armeria entro un progetto che prevede­va la risistemazione dell’area della rocca con l’ampliamento del circuito delle mura, così da meglio fortificare il castello con­quistato. Il fonte battesi­male veniva trasferito nella chiesa dei Santi Giusto e Cle­mente, distrutta poi nel Cinque­cento. La pieve insomma si era trasformata in struttura milita­re. Già prima tuttavia aveva conseguito una sua completez­za architettonica, poiché, alla fine del secolo XII, era termina­ta esternamente e presentava già inseriti in facciata elementi marmorei, quali il leone rampante e maschere demoniache, tuttora presenti.

Durante i soggiorni sanminiate­si dell’imperatore Enrico VI, dal 1184 al 1194, fu portata a termi­ne la torre campanaria, prima inserita nella cinta muraria e poi inglobata nella chiesa stes­sa. Fondamentale è stata dun­que, per la costruzione della pieve, la presenza dei Vicari Imperiali, ma anche quella degli imperatori stessi. È, infatti, fu sotto Federico II (1220-1250) che la pieve assunse l’attuale volu­metria: tre navate con transetto, campanile separato, ma in asse con la navata centrale. Si ritiene inoltre che, sulla linea degli interessi astronomici dell’impe­ratore, fossero inserite nella fac­ciata 32 scodelle in ceramica, di cui 26 superstiti, con tipologia decorativa in cui prevalgono il blu di cobalto e disegni essenzialmente geometrici, pur non mancando raffigurazioni di animali (oggi conserva­te in parte nel Museo Dioce­sano d’Arte Sacra), di pro­venienza arabo­ispanica o più probabilmente dal­l’Africa mediterra­nea, da centri quali Cartagine, in Tunisia. La disposizione, in due scomparti, fa pensare ai Carri dell’Orsa, indirizzati ver­so una stella bianca e verde, posta in alto, al centro del fasti­gio, a indicare la stella polare, quale punto di riferimento per tutti i fedeli. Secondo la metafo­ra del viaggio, il cristiano è allora il pellegrino-navigante, orientato dalla Chiesa (stella polare) e dal cielo (i Carri), ver­so il paradiso, meta ultima del viaggio.

Riaperta al culto nel 1489 con lo stabilizzarsi della situazione politica e la perdita di impor­tanza delle fortificazioni della rocca, il vicario fiorentino Pier Vettori restituì la chiesa al clero locale, ampliandola, tanto da includere (1494), nella parte absidale, la torre campanaria (orologio dal 1438), nota con il nome di Torre di Matilde (secondo la tradizione che voleva Matilde di Canossa essere nata nel vicino Palazzo dei Vicari), e già insignita del titolo di collegiata da papa Innocenzo VIII nel 1487 con gli attuali dieci cano­nicati. Fu lo stesso Pier Vettori, al termine dei lavori di restauro della chiesa, della durata di ben 24 anni, a far aprire, nel 1518, i tre portali che caratterizzano tuttora la facciata della catte­drale. Nel 1489 il proposto Gio­vanni Cavalcanti aveva ottenu­to dal Vettori, per il proposto e il capitolo, il palazzo dei capitani delle milizie del forte, poi dei Signori Dodici e del capitano del popo­lo, oggi sede del Vescovo. La nascita della Diocesi di San Miniato, nel 1622, per volere di papa Gregorio XV, fece sì che l’edificio sacro più insigne della città, la collegiata di Santa Maria Assunta e San Genesio, assurgesse alla dignità di catte­drale, destinata, da quel momento, a frequenti opere di rinnovamen­to architettonico e decorativo.

I primi restauri avvennero, infatti, sotto l’episcopato di Gio­van Francesco Maria Poggi (1703-1718), discreti e poco intrusivi; si realizzarono i soffit­ti a cassettoni delle tre navate, intagliati dal fiorentino Antonio Bettini e decorati dal pittore fio­rentino Anton Domenico Bam­berini. Dobbiamo altresì a que­sto restauro le tre cappelle delle navate laterali, affrescate dallo stesso Bamberini: quella di San Filippo Benizzi o di San Donni­no (o della Misericordia), che conserva un’Adorazione dei pastori del pisano Aurelio Lomi, già appartenente alla Pieve di Santa Maria, degli anni 1604-5; la cappella del Suffragio o di Santa Maria Maddalena de’Pazzi con un’Estasi di Santa Maria Maddalena, copia da Luca Gior­dano; quella di San Francesco di Paola con una Risurrezione di Lazzaro del fiorentino Cosimo Gamberucci (1614).

Si ascrive allo stesso restauro il maggior numero delle lapidi celebrative sulle pareti della cattedrale. In linea con il gusto barocco del tempo, la Cattedrale subiva un radicale restauro nel triennio 1766-1769, sotto il vescovo Domenico Poltri (1755-1778), nel corso del quale scomparve­ro le antiche colonne in marmo o cotto, si abbassarono gli archi gotici finemente lavorati, si modificarono quasi tutti i dipinti del Bamberini mentre la chiesa si riempiva di stucchi e dorature e nella facciata si aprivano tre finestroni. Si procedette all’ultimo restauro con il vescovo Francesco Maria dei marchesi Alli Maccarani (1854-1863), quando il proposto Giuseppe Conti, tra il 1858 e il 1861, trasfor­mò nuovamente la chiesa, su progetto dell’architetto pesciati­no Pietro Bernardini, con un rinnovato abbellimento secon­do il gusto del tempo, senza alcun rispetto del valore stori­co-artistico di quanto già pree­sistente. I pilastri del Poltri diventarono colonne neoclassi­che in scagliola finto marmo, le pareti furono decorate in finto marmo a striature bianche e verdi, il presbiterio venne dotato di una balau­stra di marmo, mentre a capo delle navate laterali si disponevano due nuovi altari e si costruiva la cupola, affrescata da Annibale Gatti nel 1859; si tamponarono, in facciata, i fine­stroni del Poltri, sostituiti da tre rosoni. Provvidenzialmente non si realizzò il progetto di coper­tura dell’antica facciata romanica in mattoni con fasce marmoree bianche e verdi, a imitazione dei grandi lavori fiorentini di Santa Maria del Fiore e Santa Croce. L’Archivio vescovile conserva un accurato disegno di questo proposito mancato.

La storia della cattedrale è dun­que carica di vicissitudini, di interventi più o meno significa­tivi, come testimonia l’impo­nente apparato decorativo interno. Il passaggio da sempli­ce pieve a cattedrale ha deter­minato dunque il susseguirsi di progetti di restauro e ammoder­namento in relazione al gusto dei tempi, tanto da alterare l’au­stera e semplice impronta origi­naria, facendone comunque un vitale spazio di incontro dell’intera Diocesi intorno al suo Vescovo.

La Cattedrale, come inse­gna il Concilio, si ricon­ferma dunque luogo di partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebra­zioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucari­stia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo, circondato dai suoi sacerdoti e ministri.

 

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