“Dona, Padre onnipotente, a questo tuo figlio la dignità del presbiterato.
Rinnova in lui l’effusione del tuo Spirito di santità…”.
Con questa invocazione nella preghiera consacratoria si chiede al Signore che rivesta della forza del suo Spirito questo suo figlio, Marco, e lo renda presbitero nel popolo di Dio.
Il mistero del dono del presbiterato è racchiuso in questa preghiera, in questa epiclesi che ci apre al dono creativo dello Spirito santo. Un dono che trasforma ora Marco nel ministero, ma che rimarrà permanente nel cammino del prete che può essere tale e vivere il sacerdozio per la continua effusione dello Spirito di Dio. E celebriamo la consacrazione presbiterale.
La Parola di Dio di questa domenica è lievito fecondo anche della celebrazione dell’ordinazione presbiterale e si presenta come una spiegazione, un racconto di quella invocazione allo Spirito che faremo tra poco.
Le letture bibliche proclamate ci presentano la figura del consacrato del Signore. E’ in questa luce che comprendiamo il presbiterato di Marco, ma scopriamo che questa Parola parla anche di noi.
La pagina del primo libro di Samuele ci presenta due protagonisti, due consacrati del Signore: Saul e Davide.
I due sono in guerra tra loro, Saul pieno di invidia cerca di eliminare il giovane Davide che si vede costretto alla fuga. Ecco dunque una occasione propizia per liberarsi del nemico, un momento di debolezza di Saul e la possibilità di ucciderlo. A fronte di questa occasione da non lasciarsi scappare Davide si oppone alla uccisione del re e lascia solo un segno del suo passaggio, del suo essersi fatto vicino, prendendo la spada di Saul. E così Davide giustifica il suo comportamento: “Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?”.
Davide, scelto da Dio come re, riconosce in Saul il consacrato del Signore e questo basta per rispettare la sua vita.
Saul il consacrato del Signore, significa colui che Dio aveva visto e scelto, colui che Dio aveva chiamato e posto sul trono di Israele, colui che Dio ha più volte perdonato, colui che Dio ha amato e ama. Potremmo tradurre “consacrato” con “amato”. Saul è amato da Dio, anche nel suo peccato, nella durezza del suo cuore, nella lotta contro Davide… Saul rimane l’amato da Dio.
E c’è anche la tua storia Marco, la storia di Marco, amato da Dio. E per questo oggi possiamo parlare di consacrazione presbiterale. Significa celebrare e raccontare l’opera di consacrazione di Dio, cioè l’opera che Dio ha compiuto e compie nella tua vita, con l’amore, amandoti.
Ripercorri Marco i passi della tua vita e della tua vocazione. Ci sono volti amati, in famiglia, gli amici, la parrocchia, il seminario, i poveri, coloro che sono feriti dalla vita… E nel panorama di questi volti c’è il tuo cammino che scopri, nei passaggi decisivi, come amato dal Signore.
Penso alla gioia della prima comunione, poi i tuoi studi e poi ancora la scelta di approdare al seminario, il diaconato e… oggi. E’ una storia di amore, dell’amore di Dio per te e della opera bella che questo compie nella tua vita. Consacrato, consacrazione significa non separato dagli altri, ma modellato dall’amore di Dio.
E’ una consacrazione e una storia di amore che ha la propria radice nel battesimo, sacramento in cui radicare anche l’ordinazione presbiterale.
Così ricordava papa Francesco qualche giorno fa ad un simposio sulla teologia fondamentale del sacerdozio:
La vita di un sacerdote è anzitutto la storia di salvezza di un battezzato. Noi dimentichiamo a volte il Battesimo, e il sacerdote diventa una funzione: il funzionalismo, e questo è pericoloso. Non dobbiamo mai dimenticare che ogni vocazione specifica, compresa quella all’Ordine, è compimento del Battesimo. È sempre una grande tentazione vivere un sacerdozio senza Battesimo – e ce ne sono, sacerdoti “senza Battesimo” –, senza cioè la memoria che la nostra prima chiamata è alla santità. Essere santi significa conformarsi a Gesù e lasciare che la nostra vita palpiti con i suoi stessi sentimenti (cfr Fil 2,15). Solo quando si cerca di amare come Gesù ha amato, anche noi rendiamo visibile Dio e quindi realizziamo la nostra vocazione alla santità. Ben a ragione San Giovanni Paolo II ci ricordava che «il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato» (Esort. ap. postsin. Pastores dabo vobis, 25 marzo 1992, 26). E vai a dire tu a qualche vescovo, a qualche sacerdote che dev’essere evangelizzato… non capiscono. E questo succede, è il dramma di oggi.
Ecco caro Marco, consacrato, fatto dall’amore di Dio, modellato da Lui, con una storia di consacrazione che si radica nel dono del battesimo.
In questa luce tutti noi, ogni battezzato, è consacrato, cioè modellato dall’amore di Dio, amato da Lui. Non dimentichiamocelo!
San Paolo nella prima lettera ai Corinzi ci aiuta a proseguire in questa riflessione sulla consacrazione.
Paolo parla dell’uomo terreno, fatto di terra e dell’uomo celeste, un corpo spirituale. E’ un linguaggio con cui si evoca l’annuncio della Genesi dell’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio. E non si intende parlare di una dualità della persona, di corpo ed anima quasi fossero realtà separate o giustapposte, ma si parla dell’uomo e della donna, della umanità come persona che è come tale immagine di Dio, abitata dallo spirito di Dio, consacrata. L’anima non è qualcosa che si aggiunge al corpo, neanche è la dimensione che si salva dalla morte a differenza del corpo, ma c’è la persona come tale, nella sua unicità che è umanità spirituale, umanità consacrata.
La persona come tale, la vita, l’umanità è la trama del progetto di Dio e della presenza del suo Spirito.
Viene allora da domandarsi che prete sarà Marco. Quali atteggiamenti? Quale carattere? Quali scelte? Quale stile?
Marco sarai prete con la tua umanità, con la terra che è la tua vita. E lo “spirituale” non è qualcosa che si aggiunge nella vita o che trasforma la tua umanità, ma la abita, si esprime attraverso la tua umanità. Che sempre è umanità bisognosa di conversione, di lasciarsi abitare da Dio.
Oggi ti viene regalato che la tua umanità viene consacrata. Significa che la tua umanità, quello che sei tu, anche nella fragilità del peccato, diventa capace di parlare di Dio, di portare Lui ai fratelli e alle sorelle. E diventa una umanità che evangelizza.
Dunque, consacrazione significa che l’umanità di cui siamo fatti, di cui è fatto Marco, parlerà di Dio, porterà la sua presenza, diventa servizio all’agire di Dio. Con la tua umanità celebrerai i sacramenti, la Messa, predicherai, porterai la parola di bene ai malati, agli anziani, farai la carità, ti dovrai “consumare” per gli altri… Questa è una umanità consacrata.
C’è un suggerimento che viene dato: lascia entrare la presenza dello Spirito. Si tratta di aprire la porta della preghiera, nella intensità dell’incontro con Dio e della contemplazione. E la tua umanità, consacrata, parlerà di Lui.
Così ha affermato Francesco nell’occasione già richiamata:
Un sacerdote è invitato innanzitutto a coltivare questa vicinanza, l’intimità con Dio, e da questa relazione potrà attingere tutte le forze necessarie per il suo ministero. Il rapporto con Dio è, per così dire, l’innesto che ci mantiene all’interno di un legame di fecondità. Senza una relazione significativa con il Signore il nostro ministero è destinato a diventare sterile…
Senza l’intimità della preghiera, della vita spirituale, della vicinanza concreta a Dio attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, l’affidamento a Maria, l’accompagnamento saggio di una guida, il sacramento della Riconciliazione, senza queste “vicinanze” concrete, un sacerdote è, per così dire, solo un operaio stanco che non gode dei benefici degli amici del Signore.
Anche san Tommaso D’Aquino ha affermato: “Gratia non tollit naturam, sed perficit” [la Grazia non cancella la natura, ma la porta alla perfezione].
Il vangelo ci offre una ultima immagine della consacrazione della vita e ce la indica nel passaggio fondamentale di questa pagina: “siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”… Si può con una certa sicurezza dire che la frase significa “siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso con te”.
Ecco allora il significato della consacrazione: vuol dire essere raggiunti dalla misericordia del Padre, per te, per me, proprio per noi, per te Marco.
E il testo del vangelo aiuta a comprendere cosa sia la misericordia. Non è solo il perdono o la pazienza sulla vita, ma è una molteplicità di atteggiamenti che parlano di condivisione e di solidarietà: l’amore ai nemici, la mitezza, la carità, la gratuità.
“Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta?… E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta?… E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta?”.
E’ davvero rivoluzionario il vangelo. Se davvero lo vivessimo…
E la consacrazione diventa allora non solo un dono da ricevere, certo, la misericordia di Dio, ma un dono da condividere, da esprimere. La consacrazione della vita non è una condizione di privilegio, ma è lo stato di vita di chi si fa servitore, di chi vive di piena gratuità, di chi vive una vera avventura di amore e di dono. La consacrazione è una esperienza dinamica.
Caro Marco, non tenere per te la consacrazione della vita, ma spendila come dono per gli altri. Non dobbiamo molto cambiare le parole del vangelo, non dobbiamo addomesticarle. Che prete devi essere? Cosa vorrà dire vivere la consacrazione per te?
Vivi il vangelo. E oggi ti vengono indicati alcuni atteggiamenti: ama e ama anche i tuoi nemici, non trattare male nessuno, vivi la pazienza di chi sa accogliere anche le umiliazioni, godi nel condividere e vivere la carità, apriti al servizio gratuito, umile, non giudicare, non condannare nessuno. “Date e vi sarà dato” dice il vangelo.
Ecco Marco, vita consacrata vuol dire vita che ama, che si dona, che condivide, che si umilia se serve. Consacrato significa così: “sii misericordioso”. Perché tutto questo, caro Marco, è stato fatto prima a te.
E’ la via del vangelo che un prete deve vivere, testimoniare, annunciare, ma queste parole del vangelo non sono per i “perfetti” o per alcuni, ma per tutti gli amici di Gesù, per tutti noi.
Ancora il papa ha affermato:
Vicinanza al Popolo di Dio. Una vicinanza che, … invita … di portare avanti lo stile del Signore, che è stile di vicinanza, di compassione e di tenerezza, perché capace di camminare non come un giudice ma come il Buon Samaritano, che riconosce le ferite del suo popolo, la sofferenza vissuta in silenzio, l’abnegazione e i sacrifici di tanti padri e madri per mandare avanti le loro famiglie, e anche le conseguenze della violenza, della corruzione e dell’indifferenza, che al suo passaggio cerca di mettere a tacere ogni speranza. Vicinanza che permette di ungere le ferite e proclamare un anno di grazia del Signore (cfr Is 61,2). È decisivo ricordare che il Popolo di Dio spera di trovare pastori con lo stile di Gesù, e non “chierici di stato” … Anche oggi, il popolo ci chiede pastori del popolo e non chierici di Stato o “professionisti del sacro”; pastori che sappiano di compassione, di opportunità; uomini coraggiosi, capaci di fermarsi davanti a chi è ferito e di tendere la mano; uomini contemplativi che, nella vicinanza al loro popolo, possano annunciare sulle piaghe del mondo la forza operante della Risurrezione.
Carissimo Marco, buona vita da prete, da consacrato, quindi con una vita amata e spezzata, condivisa per gli altri.
Ti accompagni e vegli su di te la consacrata per eccellenza, Maria, madre della Chiesa e stella della evangelizzazione.