Omelia per l’ordinazione diaconale di Marco Paoli

San Miniato, chiesa Cattedrale, ore 10
10-04-2021

 

La Pasqua è narrazione e annuncio non solo del sepolcro vuoto, non solo dei primi incontri del Risorto con le donne e poi con gli apostoli e altri testimoni, non solo del dono della pace e dell’attesa della forza dello Spirito santo, ma è anche racconto dei cammini di sequela del Signore Gesù che trovano nuovamente convinzione, gioia e coraggio nel seguire il Risorto e nell’annunciare la sua vittoria sulla morte. La Pasqua ci racconta di Gesù, il Vivente, per sempre, e della comunità cristiana che dall’incontro con Lui e dal dono dello Spirito ritrova unità e capacità di annuncio e di testimonianza. Gli incontri con il Risorto e il radunarsi della comunità sono raccontati da volti concreti, da storie sorprendenti, da segni che accompagnano Gesù risorto e anche l’annuncio dei suoi discepoli. La Pasqua ci parla di cammini dietro al Signore che ripartono, ritrovano fiducia e determinazione. E noi siamo a Pasqua, oggi, tutta intera questa settimana è Pasqua e accade tutto quanto stiamo raccontando. Tra questi personaggi della Pasqua, partendo da quelli che la Scrittura ci fa incontrare, fino a noi, oggi, ci sei tu, Marco, nel giorno in cui, con il diaconato accogli anzitutto il dono dello Spirito del Risorto che ti fa servitore e tu rinnovi qui i passi del tuo andare con fiducia dietro a Gesù. E’ Pasqua… e oggi ci sei tu, Marco.

Ci potremmo chiedere oggi chi è il diacono, quale sia la sua identità ecclesiale e teologica. E scopriamo che ci viene detto chi è il diacono dal cosa fa il diacono. Ci aiutano in questo le pagine della Scrittura proclamate.

Nel testo degli Atti degli Apostoli e poi nel vangelo di Marco ci viene anzitutto detto che il testimone di Gesù, e noi oggi possiamo dire il diacono, è anzitutto uno che parla, un annunciatore.

Negli Atti a fronte di una comunità che cerca di frenare, di impedire che gli apostoli parlino, annuncino, loro rispondono: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.

E nel vangelo, anche qui a fronte di una difficoltà a credere di stare davanti al Risorto, per ben due volte si dice: “non credettero”, la Parola di Gesù è invece il comando di parlare: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”.

L’amico di Gesù, colui che lo segue e che vive un servizio nella comunità è mandato a parlare; il diacono è chiamato a parlare; tu Marco dovrai parlare.

Nel servizio diaconale questo invito a parlare si traduce poi nel compito della predicazione, anche l’omelia, della catechesi e del servire il cammino di fede degli altri, fino alla parola che è l’esercizio della carità. Al testimone, al diacono oggi è detto di essere annunciatore, sempre, con chiunque, dell’incontro con il Risorto e sei chiamato a parlare portando la parola di Gesù, con le tue parole e con la coerenza della vita a quello che dici.

Ecco un tratto sintetico del diacono. Scopriamo chi è dal cosa fa e possiamo dire che il diacono è dunque un annunciatore, uno che porta una notizia, uno che parla del Risorto, parla di vita.

Ma dove imparare a parlare? A questo certo serve il seminario, serve il tirocinio pastorale, serve la disponibilità a lasciarsi accompagnare… Ma non basta! Dove imparare a parlare? No Marco, non servono libretti che ti suggeriscano la predica da fare…

Te lo rivela ancora la Parola di Dio che abbiamo ascoltato. Ecco la scuola del parlare.

Il vangelo ci racconta che l’annuncio del Risorto, ripetuto a più riprese da testimoni diretti, non viene creduto. Prima Maria di Magdala va ad annunciare che ha visto il Risorto ai suoi apostoli, ma questi “non credettero”. Poi si racconta che egli apparve a due di loro in cammino che tornano ad annunciarlo agli apostoli, ma questi “non credettero”. Alla fine apparve Lui agli Undici e li rimproverò per la loro incredulità. A quel punto li conferma nel loro essere Apostoli, annunciatori: “Andate…”.

Il racconto della fatica a credere che il Risorto sia davvero il Vivente, il Cristo, il Crocifisso che ha vinto la morte ci dice che per annunciare è decisivo aver vissuto un incontro personale con il Signore Gesù Risorto.

L’annuncio della Risurrezione, il Risorto non è una idea o un sentimento che gli amici di Gesù ad un certo punto maturano nel loro cuore per la storia di bene che era stata la vita del Maestro; la risurrezione non è un vago sentire che l’avventura di Gesù non è finita ed aleggia ancora in qualche modo con loro in una storia di bene che può proseguire. La Risurrezione di Gesù invece, insistono i vangeli, è incontrare Gesù che come persona è risorto, è vivente e lo si può incontrare. I vangeli di questa settimana insistevano su questo: “Gesù in persona apparve a loro”; Giovanni sul lago disse: “Ma è il Signore”. Credere nella Risurrezione, annunciare il Risorto vuol dire credere che Lui in persona, Lui che è stato crocifisso ora è vivo, ha vinto la morte ed lo si può incontrare.

Ecco, allora. E’ necessario, Marco, per imparare a parlare avere incontrato davvero Gesù Risorto. Occorre fare una esperienza vera e personale di amicizia e di relazione con Lui, con Lui davvero, non con il fascino che ci trasmette o la storia di bene che è stata la sua vita, ma con Lui, Gesù per davvero, in persona, proprio Lui. Solo incontrandolo per davvero si impara a parlare, si può essere annunciatori. E tu Marco lo hai incontrato il Risorto? Ti ricordi? Quando?

La pagina degli Atti ci suggerisce un secondo tratto dell’imparare a parlare.

Sentite come vengono descritti gli apostoli: “rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito…”.

Questi sono gli apostoli, gente semplice, apparentemente capace di ben poco, eppure capaci di cambiare la vita ad un povero storpio e con l’unica qualifica di essere amici di Gesù, “quelli che erano stati con lui”.

Ci viene detto con queste annotazioni che l’apostolo che parla non lo fa per portare qualcosa di suo, per raccontare proprie intuizioni o presunte genialate, ma sa di portare una ricchezza che non viene da sé, dalle proprie capacità, ma si porta la potenza del Risorto, si porta la forza di Gesù che è l’amore, e per questo la nota qualificante è che “sono stati con Gesù”.

L’annunciatore, anche tu Marco, non sei chiamato a parlare per mostrare la tua intelligenza anzitutto, ma per far scoprire l’intelligenza del vangelo, la logica del Maestro, l’arte dell’amare che è il senso del vangelo.

L’ultimo tratto di chi sia il diacono, scoprendolo da quello che fa ce lo consegna la pagina di Giovanni.

L’apostolo amato ci dice che il discepolo annuncia ciò che Lui ha visto, ha udito, ha toccato. Ancora una volta siamo rimandati alla nostra personale esperienza di incontro con il Risorto per poterlo poi annunciare.

Mi soffermo però su una particolare azione: toccare. “Ciò che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi”.

E’ la terza lezione per imparare a parlare, Marco. Bisogna toccare. Ma cosa? Chi?

Gli apostoli ci mostrano che il loro toccare si rivolge a chi è povero, a chi è malato, a chi è peccatore, a chi è nel bisogno. Si tocca l’uomo nella sua umanità più vera e più nuda. Si tocca l’uomo nella concretezza della sua vita che non sempre è perfezione e purezza. Si tocca l’uomo fino alle sue piaghe e ai suoi dolori. Viene alla mente l’abbraccio tra san Francesco e il lebbroso e più vicino a noi Madre Teresa di Calcutta con tutti i poveri tra i più poveri che lei ha toccato e raccolto per strada. Si capisce allora che questo toccare con mano vuol dire amare davvero, amare toccando, amare incontrando davvero l’altro nelle vicende e nelle storie di vita che la Provvidenza ci fa incontrare.

Si tratta di non essere preoccupati di sé, di lasciar andare la preoccupazione di proteggersi anzitutto, ma di avere il coraggio di andare incontro e accogliere la vita dell’altro, il coraggio di abbracciare e toccare, anche sporcandosi, anche rinunciando ai propri progetti e alle proprie sicurezze. Cioè, il coraggio di amare, facendoci carico della vita dell’altro.

E questa è la predica più importante. E’ quello che fa Gesù con tutti, anche con i suoi amici, gli apostoli, poveri peccatori che lo avevano abbandonato sotto la croce, e anche con noi, con te Marco. E Lui, il Risorto, torna da loro e li tocca, cioè li riveste di misericordia e sceglie di nuovo proprio loro. Proprio questo è difficile da credere (“non credettero”). Ricordate anche Pietro alla lavanda dei piedi? Non voleva lasciarsi toccare da Gesù, ma quel gesto era necessario, anche per lui. Il gesto di chi serve, di chi ama.

Il diacono, caro Marco, è uno che tocca l’altro. Tocca le ferite dei tuoi fratelli e sorelle e quel toccare sarà la parola che più può cambiare la vita, può guarire e portare all’incontro con il Risorto.

Ti accompagna Maria, Regina degli Apostoli, Regina degli annunciatori. Lei ti suggerirà le parole per portare i tuoi fratelli e sorelle all’incontro con il Risorto. Affidati a Lei.

Buon cammino diacono Marco. E visto che devi parlare… noi siamo tutt’orecchi per ascoltarti.