ARTICOLO

Incontro con Costanza Miriano: «Accendere fuochi nei figli»

di Francesco Fisoni

Parlare a dei genitori su come comunicare la fede ai figli è difficile! C’è solo una cosa più difficile: parlare di fede direttamente ai figli».
Costanza Miriano non ha ricette di pronto consumo per i tanti accorsi ad ascoltarla a San Romano, in un caldo sabato di aprile. Quello che in lei colpisce, per chi conosce il suo stile di scrittura incisivo e gagliardo, è la ferialità senza clamore del suo eloquio: «Sono mamma da 19 anni, parlo dall’umile cattedra dell’esperienza… Puoi trasmettere solo quello che vivi, la fede è un incontro con un fatto, con una persona che ti interroga; e questo incontro puoi comunicarlo solo se c’è stato veramente. Come genitori, questo porta con sé due conseguenze: ci impegna alla conversione e ci solleva dall’ansia di cercare sofisticate tecniche di trasmissione della fede. Se una persona vive la fede e cerca in modo autentico l’incontro col Signore, per irradiazione i figli lo percepiranno». Come mamma molto giudiziosa, racconta di aver acquistato in passato valanghe di manuali sulle strategie educative, convinta che facendo la «secchiona» sarebbe divenuta un genitore modello. Nello studio e nel lavoro funziona così, ma nel «mestiere» di genitore occorre avere la consapevolezza che il concetto di perfezione non solo non esiste, ma se coltivato può essere addirittura dannoso. Con i figli gli errori sono all’ordine del giorno, ed è semmai rassicurante pensare che essi sopravvivono nonostante tutti i nostri errori.  Richiama il presupposto di ogni patto educativo, ossia che si ha a che fare con la libertà di un altro da sé: per quanto sia difficile da accettare i figli sono liberi… anche di tradirci. La sfida dell’educazione, secondo anche le parole di don Giussani, è un rischio, esiste sempre la possibilità del rifiuto. Come ci si misura con questa libertà?
Per la Miriano è dirimente far «annusare» ai figli la bellezza che come genitori sperimentiamo in Cristo. Da tempo ha smesso di pensare che l’essere cristiani coincida con l’essere persone per bene – quasi cittadini modello – che trovano nella preghiera e nella frequenza ai sacramenti il loro upgrade esistenziale. Cristiano è colui che incontra continuamente il Cristo, facendone un’esperienza radicale che trasforma completamente il suo sguardo sulla realtà. È consapevole dei suoi limiti Costanza: «L’esperienza su di me parla di un cristianesimo borghese, talvolta accomodato. Ho bisogno continuamente di convertirmi. Anche per essere credibile con i miei figli. I ragazzi si accorgono di tutto, hanno un radar infallibile sulle falsità degli adulti. Personalmente poi sono bravissima a fare prediche. Mi escono davvero belle, ma con i figli non funzionano, non attaccano.
Ciò che li interroga sono invece i gesti; per esempio se vedono che io e il papà ci chiediamo scusa dopo un diverbio, o se con generosità ci sacrifichiamo per mansioni che non ci spettano, questo funziona su di loro, arriva!». Il suo intervento tocca poi i temi centrali del «limite» e del «desiderio». Mettere limiti ai figli – spiega – non significa mortificare i loro desideri, ma aiutarli a spostare lo sguardo su orizzonti più vasti. Il tema del limite è fondamentale nella cultura odierna, che spaccia come desiderabili modelli di vita senza condizionamenti. È l’eterno gioco del Tentatore, dal giardino dell’Eden in poi: «Dio ti vuole fregare, ponendoti dei limiti». Ma un limite serve per custodire. «Una terrazza ha la ringhiera non per limitare la tua libertà, ma per non farti cadere». Un altro punto fondamentale che tiene a sottolineare è che i figli devono essere amati, e la cosa non è poi così scontata, soprattutto quando crescendo si collocano in una perenne logica di conflitto. Il braccio di ferro ci può e deve stare, ma da parte dei genitori deve essere sempre salvaguardato il sottofondo di conferma di bene e di stima: «Ti voglio bene anche se sei brutto, sporco e cattivo! Sono contento che tu ci sia!». Racconta un fatto che tocca i presenti: «Per anni, alla sera, appena i figli si addormentavano chiamavo mio marito a contemplarli nel sonno».
Un figlio si nutre e cresce attraverso lo sguardo innamorato di un genitore. «Una sera mia figlia, dopo che per tutta la giornata avevamo litigato, mi è arrivata in lacrime… era commossa per il modo in cui nel silenzio la stavo guardando”. Confida anche di quanto sia stato prezioso per lei stimolare i suoi ragazzi a frequentare maestri di vita buona: sacerdoti, educatori, adulti credibili, proponendo loro incontri e esperienze.   Racconta della sua insofferenza verso tutte le diavolerie elettroniche nelle quali rintraccia un pericolo per le relazioni familiari, tanto che confida scherzando – come il suo primo lavoro sia quello di spegnere e sequestrare smartphone e tablet ai figli. A questo proposito suggerisce di negoziare delle regole di condotta riguardo ad esempio agli orari e alle condizioni in cui ne è consentito l’utilizzo. Riconosce che un figlio potrebbe anche rifiutare la proposta educativa di un padre e di una madre, e scegliere di percorrere sua personale «babilonia». Come genitori va accettato, confidando che si tratti di un periodo circoscritto. Anche il popolo di Israele ha corso questo rischio. L’importante è che un figlio sappia che qualcuno resta a «custodire la casa», ossia che c’è sempre qualcuno ad aspettarli, come per il figliol prodigo. Questo deve essere tanto più vero oggi, in una società che ha sancito la labilità dei rapporti familiari, dove i genitori stessi sono così facilmente in uscita, non essendo più propensi al sacrificio di custodire il sacro focolare dei legami tradizionali.
Occorre avere molta tenerezza e compassione per i figli, soprattutto oggi. Siamo infatti di fronte a una generazione alla quale è continuamente offerta, in modo pressante e seducente, la deviazione come paradigma. La castità, ad esempio, per chi una volta cresceva in parrocchia, era proposta con chiarezza e fermezza. Magari si potevano sbagliare i modi del comunicare ma sui contenuti non c’erano equivoci. Oggi non se ne parla più per imbarazzo. Un consiglio che la Miriano dà ai genitori è quello di «immischiarsi» nelle proposte educative della scuola e delle altre realtà entro cui i figli gravitano. Chiedere spiegazioni, informarsi sui contenuti educativi è vitale per non avere brutte sorprese. Sconcerta infatti la generalizzata disinformazione delle famiglie rispetto ai programmi educativi che la scuola porta avanti in ambiti delicati come, ad esempio, la sessualità. Come mamma si dice poi molto preoccupata dalla facilità con cui oggi i ragazzi hanno accesso alla pornografia. Una galassia lugubre che frammenta il loro mondo psichico e crea forte dipendenza. Anche un solo fotogramma pornografico può turbare l’immaginario infantile per anni. Siamo in una guerra che ha fatto più cadaveri (nel senso di morti psichiche) delle due guerre mondiali messe assieme. È una trincea che come genitori dobbiamo continuamente vigilare. Chiude facendo balenare la comicità sottesa alle infinite situazioni domestiche dove marito e moglie, autentici universi paralleli, fanno acrobazie quotidiane per comunicare e capirsi. Il tutto raccontato con garbo e spiccato senso dell’ironia, che strappa a più riprese il sorriso, se non la risata, nell’uditorio. E alla fine è proprio questo il succo del suo messaggio: vivendo con letizia e amore le relazioni in famiglia, abbiamo un anticipo del Paradiso, fatto che non può lasciare indifferenti i figli.