Omelia per l’Ordinazione Presbiterale di Federico Cifelli

San Miniato, Chiesa Cattedrale
27-06-2020

 

Carissimo Federico, che scherzo ti ha fatto il Coronavirus!

Forse questo tempo ai supplementari ha potuto affinare e purificare ancor di più il desiderio di seguire il Signore, di amare i tuoi fratelli, di servire la Chiesa.

E oggi ci siamo. E’ un dono quello da accogliere, perché fa tutto il Signore, fa tutto il suo amore. E lo si può accogliere con la gratitudine di chi si sente come un peccatore perdonato. Così diceva papa Francesco di sé: sono un peccatore a cui Dio ha guardato. A questo allude la parola della lettera agli ebrei parlando di chi il Signore sceglie e dicendo di lui “essendo anche lui rivestito di debolezza”. Un dono che si accoglie nella gratitudine, il presbiterato. Una gratitudine che condividiamo anche tutti noi preti, facendo memoria del giorno della nostra ordinazione sacerdotale, il mio come oggi ventotto anni fa.

La Parola di Dio proclamata illustra chi è il prete e cosa fa il prete.

C’è un fascino straordinario nella vocazione del prete. Un fascino che la Parola di Dio racconta sempre con tanta forza e chiarezza. Ti auguriamo Federico di percepire questo fascino, che ti tocchi il cuore. E preghiamo che questo fascino tocchi il cuore di altri giovani che si decidano a seguire il Signore su questa strada. Qualcuno forse è qui in questa cattedrale. A loro, con te Federico, dico: non avere paura, fai quel passo che pensi magari nel tuo intimo, fidati di Gesù. Seguirlo è impegnativo anche, ma soprattutto affascinante. E la tua ordinazione oggi Federico fa risuonare nella nostra Chiesa di San Miniato l’appello che ai giovani dice: abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di preti dal cuore bello, generoso, libero.

Per tutto questo Federico sentiti accolto e abbracciato dalla nostra Chiesa.

La prima lettura ci riporta la pagine che racconta la vocazione del profeta Isaia.

E’ un testo che narra anzitutto l’iniziativa e la scelta di Dio. E’ Lui che fa il primo passo, guarda, sceglie, chiama, riveste col suo Spirito. E poi è lui che manda: è impressionante il programma di vita e di missione di Isaia.

Questi due accenti diventano una prima parola per te Federico, oggi.

E’ Dio che sceglie, che fa il primo passo. Mi colpisce come in questa pagina Isaia dicendo, “Lo spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione…”, fa comprendere che lui si è accorto di questa attenzione di Dio, di questa sua opera, della sua iniziativa, del suo amore.

E’ un primo tratto della identità del presbitero. E’ uno che si è accorto! E’ uno che ha scoperto, ha sentito l’amore di Dio, ne ha riconosciuto la voce, ha percepito che Dio guarda a Lui.

Tu Federico oggi ti presenti al Signore chiedendo alla Chiesa di diventare prete. Ma ti sei accorto che è Lui che ti ha chiamato? E’ il Signore che ti ama? Sei capace di raccontare, di raccontarti il bene che ti ha fatto?

Il prete, nel suo celibato, è un uomo che dice con maturità: “sono amato”, la mia vita è amata, l’amore di Dio mi riempie il cuore. Un celibato che non vibra di amore, che non ci rende amati e amanti è semplice sterilità che non serve e che nel tempo ci inacidisce, ci rende anche intrattabili. Con Isaia possiamo dire: “Lo spirito del Signore Dio è su di me”, l’amore di Dio mi riempie la vita e ci fa amanti, capaci di vere relazioni umane e ricche di amore.

Anche nel vangelo risuona questo annuncio: incontriamo un Gesù guaritore, un uomo che fa il bene, soprattutto a chi è malato e povero. Allora ci chiediamo, ti puoi chiedere Federico: che bene ha fatto a te il Signore? Come ti ha liberato? Come ti sta amando?

Isaia poi racconta il suo essere mandato, la sua missione. Isaia nella vocazione scopre che la sua vita è capace di bene, può far vivere altri.

E’ il secondo tratto della vocazione del prete: una vita che si scopre capace di bene, capace di dono. Non sappiamo in concreto cosa la vita ti chiederà come servizio; da oggi vicario parrocchiale a Santa Croce, ma poi? Ebbene, non dimenticare mai Federico che la tua vita sarà sempre capace di bene, di vivere e di fare il bene, capace di diventare custode del cammino di altri, qualunque cosa ti verrà chiesta.

La lettera agli Ebrei indica un altro tratto della vita del prete.

Egli non è un uomo solitario e non si può pensare nel ministero in modo individuale. Il prete entra a far parte di un presbiterio anzitutto, appartiene al popolo di Dio, cammina insieme. Non abbiamo bisogno di giocatori solitari, ma di membri di una squadra. E si parte dalla concretezza del collaborare, all’arte dell’accogliersi e volersi bene (tra preti, badate bene), al vivere quella comunione di spirito che ci rende uno, unità.

L’autore della lettera è molto chiaro: “Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per il bene degli uomini”, fino a vivere la solidarietà nella debolezza e anche nel peccato. Lo stesso Gesù è stato scelto nel popolo e si è fatto sacerdote, l’unico sacerdote del popolo.

Mi piace pensare al popolo come a volti concreti. Prova a chiudere gli occhi, Federico, e lascia riaffiorare i volti. Sono i volti della tua vita. I volti della tua mamma anzitutto e poi il tuo babbo, i volti degli amici, i volti del seminario, i volti della Sanità a Napoli, i volti di Orentano e di Santa Croce, i volti dei preti sanminiatesi… Tanti volti. Sono questi volti, queste persone, queste storie che oggi ti fanno prete, danno contenuto, storia, respiro al tuo diventar prete. Lasciali abitare dentro di te questi volti. Ti aiuteranno a custodire una vita umana, nella sua umanità.  Questi volti ti ricorderanno da chi sei amato e chi devi amare. Questi volti ti aiuteranno a rimanere legato ad un corpo che è la Chiesa, che è il popolo di Dio e ti auguro di non poter sopportare di dover camminare da solo come prete.

Infine il vangelo. Non possiamo commentarlo tutto. Mi sono chiesto se prendere spunto più da Gesù o dal centurione per parlare di te. Poi mi ha colpito proprio il centurione. Egli è uno che va a cercare Gesù, gli presenta un problema e insieme non lo vuole scomodare, o meglio si fida di lui, sa che potrà fare il bene. Il centurione l’ha conosciuto bene Gesù, ha capito benissimo. E Gesù glielo dice: “In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!”.

Il centurione è uno che ha capito bene Gesù, ha visto quale uomo buono egli era, si fida. E lo chiama, lo cerca porta a lui.

Ancora: il centurione si interessa di un servo. Ma siamo alla pazzia. Si interessa di un servo, cioè di un povero, di un “ultimo”. Egli ama chi è “ultimo”.

Infine è capace di vedere il bene: “In quell’istante il suo servo fu guarito”.

Federico arruolati… Il centurione è il tuo lavoro!

Con il centurione ti puoi chiedere se tu Gesù l’hai capito davvero, se hai colto come lui fa il bene. Perché da prete devi lasciarti fare il bene da Gesù e devi diventare suo strumento perché lo faccia ancora oggi a chi ne ha bisogno.

Con il centurione cerca Gesù, porta a Lui le domande e le attese, la vita del popolo di Dio, dei tanti volti di cui parlavamo. Parla a Gesù della gente che ti è affidata e della sua vita.

Con il centurione non dimenticarti di chi è più povero, di chi sembrerebbe non meritarselo l’aiuto e l’amore e proprio di lui dovrai parlare al Signore.

Con il centurione impara a vedere i miracoli. I miracoli accadono. Sarà un miracolo la celebrazione dell’eucaristia e le parole “io ti assolvo”, capace di ridare vita a chi è morto. Sarà un miracolo il cammino di un giovane che riprende o la vita che nel dolore trova consolazione. Sarà un miracolo come attraverso anche le nostre ferite e il peccato passerà l’amore di Dio.

Che vita è la vita di un prete se non è capace di vedere i miracoli? Non dico di farli… ma almeno di vederli…!

Questo vangelo è un incalzare di incontri: il centurione e il servo, poi la suocera di Pietro, poi molti indemoniati e malati… poi te Federico e poi anch’io, poi voi preti e tutti noi qui presenti oggi.

E’ l’annuncio del vangelo: c’è posto davvero per tutti nella Chiesa e nel cuore di Dio. Questo è l’annuncio che il prete dovrà portare. C’è posto per tutti. E c’è posto anche per me e per te, Federico.