Omelia per Ingresso di padre Marco Sebastiani a San Romano

San Romano, santuario della Madre della Grazia Divina
03-10-2020

La celebrazione che viviamo questa sera, nella vigilia della solennità di San Francesco, in questa comunità e parrocchia che al santo di Assisi fa particolare riferimento, è da sé sola già annuncio e profezia. L’annuncio è che siamo chiamati a vivere il fascino e la forza del vangelo, la semplicità e la “nudità” del vangelo, il vangelo “sine glossa” come direbbe san Francesco. E’ su questa strada che ci guida papa Francesco nel mettere al centro della Chiesa proprio il vangelo.

Cosa può fare di più significativo e importante una fraternità di francescano, come quella che ci ritroviamo rinnovata a San Romano, se non mettere al centro della loro comunità e di tutta la parrocchia il vangelo?

E cosa più fare di più un parroco, cosa può fare di più di questo un parroco come padre Marco che accogliamo questa sera se non mettere al centro della vita pastorale della parrocchia il vangelo?

E’ proprio questo che stiamo celebrando in questa festa di San Francesco: accogliamo un nuovo parroco, cioè gli chiediamo di annunciarci il vangelo, di testimoniare il vangelo, di parlarci del vangelo, di fare opere di vangelo e noi ci presentiamo come pagina di vangelo, come gente amata dal Signore Gesù. Caro padre Marco, San Romano è una bella comunità, perché è gente amata, benedetta dal Signore.

La pagina del Siracide ci parla dell’opera del sacerdote del tempo antico, Simone figlio di Onia.

Di questo sacerdote il testo ci racconta anzitutto la cura del tempio di Dio, il suo santuario e poi la custodia del popolo di Dio, un popolo che assediato viene protetto dal sacerdote, al punto da diventare luce, come il sole che splende e la luna piena nella notte.

In questo orizzonte di tutela del santuario di Dio e del popolo di Dio ci viene indicata una identità: santuario di Dio, vero santuario è il popolo.

Allora, padre Marco, questo dovrai vivere: custodire, promuovere, fare vivere il tempio, la chiesa, la parrocchia, il santuario e riconoscere che il modo vero per vivere questo è prendersi cura del popolo di Dio, della gente.

Questa pagina rimanda a un episodio della vita di San Francesco, una vicenda che sta all’inizio della sua avventura dietro al Signore quando, a San Damiano, si sente rivolgere la parola di Gesù: “Francesco va’, ripara la mia casa”. Francesco avrebbe poi dovuto scoprire che il Signore gli parlava della casa che è la Chiesa e che egli doveva solo servire un’opera di salvezza e purificazione che il Signore stesso stava compiendo.

La pagina del Siracide, come la vicenda di Francesco ci raccontano anzitutto la cura di Dio, quello che Dio fa per il popolo, come Dio ama il popolo, come egli lo salva e lo fa vivere.

E’ in questa cornice che si colloca il servizio del parroco: servire, mostrare, raccontare l’opera di Dio nella comunità, nella vita delle persone, nella chiesa. Il parroco dovrà sempre raccontare quello che opera Dio, anzi dovrà ricordare il primato di Dio.

Caro padre Marco dovrai parlare di Dio, mostrare il suo volto, aprire al suo mistero la vita della gente. Dovrai vivere la predicazione come annuncio su Dio e sulla sua opera, sulla sua volontà. Sei chiamato a compiere le opere di santificazione, quelle svelate nei sacramenti, quelle vissute nella carità, quelle che nascono perché si vive con la gente.

E’ questo il primo compito del parroco: servire l’agire di Dio, la sua provvidenza, il suo progetto, la sua volontà di bene e dire e compiere i gesti e le parole di Dio.

Nella pagina di Paolo ai galati l’Apostolo riassume la sua vocazione, la sua missione riferendosi alla croce: “non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”. Paolo rivendica per sé un incontro decisivo con Cristo, un incontro che davvero ha segnato la sua vita (le stigmate). Un incontro che diventa annuncio: la croce di Gesù, il dono della sua vita, cioè come Gesù ci ha amato.

Caro padre Marco, hai le stigmate? Al di là della immagine: hai incontrato Cristo? E’ un incontro che ha segnato la tua vita? Porti l’impronta di Gesù nel tuo cammino? La tua vita parla di Lui che hai incontrato?

Questo è un parroco: un uomo che ha incontrato Gesù, si è lasciato attrarre da Lui e ne è rimasto segnato, affascinato, al punto da voler vivere come Lui. Il prete è un uomo che coltiva questo rapporto con il Signore,  nella preghiera, nella fraternità, nella contemplazione.

Il parroco, il prete, il religioso nella comunità è un uomo di Dio, un uomo che racconta di aver incontrato Dio e di non essere più scordato questo incontro.

Qui sta la sorgente della vocazione e dell’essere prete, parroco: uno che ha incontrato il Signore.

Allora qui nasce la sua missione: il parroco è chiamato a portare la gente all’incontro con il Signore e a lasciarsi toccare e segnare da Lui (le stigmate), a lasciarsi marchiare con il timbro dell’amore di Gesù.

La pagina del vangelo ci parla dei piccoli, dei poveri: non i sapienti e i dotti, ma i piccoli, i minimi.

Emerge qui un tema caro anche al francescanesimo: la minorità. E nella minorità si trova il vangelo, come ci racconta questa pagina. Nella minorità, nella piccolezza, nel segreto, nella quotidianità, nella fragilità, nella povertà… nella semplicità della tua vita abita il vangelo, opera il Regno.

I frati nella comunità e anche il nuovo parroco sono segno di questa piccolezza, di questa “minorità” e ci indicano dove cercare il vangelo.

E nella pagine evangelica la minorità è associata alla lode e alla conoscenza di Dio.

La minorità è la vita della gente, la concretezza della esperienza umana e il vangelo ci ricorda che solo assumendo e vivendo questa umanità, anche fragile, si fa crescere il regno di Dio che è giustizia, pace, benevolenza, vita.

Questo è il programma allora del parroco e della parrocchia: cercare e valorizzare le minorità, i segni piccoli, poveri, fragili per raccontare e portare davvero il vangelo.

Allora ciascuno di noi pensi ora a cosa di più fragile, misero, piccolo ha nella propria vita e per quella dimensione ed esperienza c’è la prima benedizione del parroco e anche del vescovo.

Il vangelo poi ci lascia un invito: “venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro”. Solo se sei stanco e oppresso, solo se percepisci il tuo bisogno puoi accorgerti di un Dio che si cura di te, che ti dà ristoro.

Ma sentite, è una voce che arriva ancora un poco da lontano, ora è più chiara, la si riconosce, assomiglia a quella di padre Valenino, ma ora è più chiara, pare quella di padre Marco e ci dice: “venite a me”… Bell’invito del nuovo parroco! Ma ascolta bene, prova a capire… non è la voce di padre Marco, ma nei toni del suo dire è il Signore che ti ricorda e ti ripete: Venite a me.

“Venite a me”… è il riassunto più bello della vita di una parrocchia, della parrocchia di San Romano.