L’8 marzo nella Chiesa

Uno sguardo nuovo sulla soggettività femminile

di Giulia Taddei

Non sono bastate tre generazioni di femminismo per superare l’iniqua differenza di rappresentanza dei due generi nei luoghi decisionali civili, politici e sociali. La persistente invisibilità femminile dimostra che un concetto semplice come l’uguaglianza tra uomini e donne stenta ad essere compreso e attuato. Ancora non è chiaro che l’esperienza e la visione delle donne è fondativa per una società più giusta, più equa e solidale. E noi donne che facciamo? Chiediamo voce, gioiamo perché il Primo Ministro ci convoca a far parte di organismi istituzionali, rimanendo ancora attaccate al superatissimo concetto della parità. Parità con chi? Nella misura in cui abbiamo bisogno di un permesso maschile e patriarcale per parlare, per far sentire la nostra autorevole voce c’è ancora molta strada da percorrere. Questa strada però non la si può sostituire con teatrini politici o surrogati culturali: il ministero e le commissioni pari opportunità ai vari livelli vanno bene e operano positivamente perché creano consapevolezza e mettono in rete, ma non diminuiscono di un centimetro il percorso da compiere. Chiudersi dentro un recinto, arroccarsi su una posizione veterofemminista che ancora recrimina potere rosa mi sembra poco produttivo: non si può continuare a pensare la donna partendo dall’uomo. La filosofa Luisa Muraro nel volume «L’ordine simbolico della madre» sottolinea la non coincidenza di ordine simbolico e ordine sociale e precisa che ciononostante, pur restando cioè separati, ordine simbolico e ordine sociale si implicano, perché se vero è che l’uno giustifica l’altro è anche vero che l’altro è prodotto del primo, tuttavia non è agendo sui rapporti sociali, e quindi rivendicando la parità, che si può affermare la soggettività femminile.

L’elaborazione di un pensiero sulla differenza sessuale, che sia N basilare per il rispetto delle altre differenze è la premessa per la costruzione di una società etica e vitale. È indubbio che nella cultura occidentale qualcosa non ha funzionato, in essa si continua a pensare la differenza sessuale a partire dall’universale uomo, ciò annulla la natura ontologica del principio di differenza. Ancora oggi occorre ribadire in contesti anche di un certo livello culturale che il sesso non discrimina l’essenza di persona, ma esprime soltanto una modalità del suo esistere, che si rende diversa in un corpo maschile o femminile: questo è scandaloso. E la Chiesa dove sta? come si pone di fronte a questa questione? Per quanto riguarda lo status giuridico della donna, come fedele, esso è del tutto parificato a quello dell’uomo. Una posizione storicamente più rigida e restrittiva, invece, la riscontriamo nella possibilità di conferire alla donna ministeri istituiti, anche in relazione al diaconato. Nella recentissima attualità papa Francesco ha voluto estendere alle donne i ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato, ma è all’interno dello status laicale che vi sono innumerevoli modi e preziose occasioni per la donna di partecipare corresponsabilmente ai munera Ecclesiae.

Così si esprime papa Francesco nell’esortazione apostolica “Querida Amazonia” a proposito della questione femminile nella Chiesa: «Allargare la visione per evitare di ridurre la nostra comprensione della Chiesa a strutture funzionali. Tale riduzionismo ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all’Ordine sacro. Ma in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo». Dunque anche la Chiesa presta finalmente attenzione alle donne? Direi di si, ciò può bastarci? Direi di no. Ma è questo il punto? Vogliamo che la Chiesa ricalchi gli errori della società civile dove le donne hanno conquistato molto, ma hanno anche perso il valore della loro autorevolezza archetipica legata al rapporto contemplativo e non possessivo del mondo? Gli studi e le opere di teologia femminile, che sono molto significativi e importanti, non toccano le donne del quotidiano: restano prelibatezze per palati raffinati e menti illuminate. Mi sembrerebbe più utile rientrare in contatto con il tessuto femminile che di generazione in generazione ha tramandato la sapienza rivelatrice della vita: dalla nascita alla morte la vita è “gestita” dalle donne: autorevoli e nobili creature a cui Dio ha affidato l’umanità. Questa autorevolezza non può essere incarnata adeguandosi al modello maschile fondato sul potere e sulla conquista di spazi e ruoli. Solo le donne possono favorire quel processo di rigenerazione che aiuti la società e la chiesa a liberarsi dalle ombre e dalle paure. L’umanità ha bisogno di aprirsi all’abbraccio amoroso dello Spirito da cui ha avuto origine e le donne possono diventare il canale preferenziale per ripristinare il contatto originario tra la creatura e il Creatore. Tutto questo è un programma molto più ambizioso e interessante rispetto alla richiesta di riconoscimento da parte dell’autorità maschile istituzionale. Indubbiamente sarebbero interessanti e auspicabili aperture e ampliamenti del carisma femminile per una piena attuazione delle potenzialità della Chiesa del futuro. Non fermiamoci dunque qui.