Corso Lettori: prossimo incontro venerdì 21 ottobre

Un incontro per i lettori sul canone delle Scritture

di Francesco Sardi

Il corso di formazione liturgica, sul tema «La lettura della Parola di Dio nella liturgia» ha visto venerdì 30 settembre, presso la chiesa della Trasfigurazione a San Miniato Basso, la relazione tenuta da don Benedetto Rossi, docente di Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale. A lui è stato chiesto di parlare della nascita del canone della Bibbia a coloro che svolgono il servizio importante della lettura della Parola in chiesa. In primis il relatore ha chiarito l’etimologia del termine “canone”, dal greco kanón, cioè bastone, sbarra dritta usata per le misurazioni da muratori e carpentieri.

Nell’uso cristiano “canone” sta a significare una norma, una regola: in questo caso la regola che permette di riconoscere i testi divinamente rivelati. Questi sono Parola di Dio e da qui nasce la necessità di “conservare” intatta la rivelazione; la necessità di “difendere” i testi sacri dalle alterazioni; e la necessità di “osservare” il canone ispirato da Dio. È la Chiesa a stabilire il canone delle Scritture, tanto che Sant’Agostino poteva dire: «Non crederei al Vangelo se non ne fossi ispirato dall’autorità della Chiesa». La definizione ufficiale del canone da parte del Magistero arriva, dopo una lunga storia, l’8 aprile 1546, nel Concilio di Trento.

Ma come sono stati canonizzati i testi sacri? Don Benedetto, parlando del Nuovo Testamento, ha ricordato i necessari criteri che hanno portato a canonizzarne i testi: la loro origine apostolica; il loro utilizzo nelle comunità cristiane, che ne hanno determinato la conservazione e l’accettazione e, infine, la conformità alla regola della fede. Sulla base di questi criteri, alcuni testi, detti “protocanonici” sono stati accettati fin da subito come Sacre scritture; i testi “deuterocanonici”, invece, sono entrati a far parte del canone dopo lunghe discussioni e sono stati canonizzati successivamente. E i testi non canonizzati? Si tratta degli “apocrifi”. Il termine “apocrifo” significa segreto, nascosto, e indica quei testi che non avevano i requisiti per entrare nel canone e che la Chiesa quindi non ha riconosciuto come rivelati. Una delle questioni più importanti riguarda la sacramentalità della Parola basata sulla sua relazione con l’Eucarestia. Questa si basa sulla coincidenza tra ciò che Dio dice – la Parola – e ciò che Dio fa – il Sacramento. Al termine della relazione, don Francesco Zucchelli, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, ha annunciato che dal prossimo incontro sarà presente anche un insegnante di dizione che aiuterà i lettori nel loro compito di leggere la parola di Dio.