Intervista al nuovo parroco di Cigoli

Sotto lo sguardo della Madre

Omelia del Vescovo e video della Messa di Ingresso

Con i primi vespri della solennità di Tutti i Santi, don Francesco Ricciarelli, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali e la Cultura della nostra diocesi, nonché coordinatore di questo settimanale, lascia la parrocchia di Santa Maria in Valdegola per fare il suo ingresso nella pievania di Cigoli. Se in generale è impresa ardua scolpire il profilo a tutto tondo di una persona, attraverso un’ordinaria intervista, lo sforzo rasenta i limiti dell’impossibile quando l’intervistato è anche un amico, nonché tuo direttore nella comunicazione. Imparzialità e distacco rischiano di diventare propositi pressoché chimerici. Fatta salva questa premessa, diciamo anche però che ci abbiamo provato, rivolgendo a microfono aperto alcune domande a don Riccarelli nell’imminenza dell’evento.

Don Francesco, dalla Valdegola al colle del Santuario di Cigoli. Uno spostamento di pochi kilometri ma di enorme significato simbolico…

«Per molti la Valdegola simbolicamente rappresenta la Fortezza Bastiani di un celebre romanzo di Buzzati, mentre il Santuario di Cigoli gode tradizionalmente di un notevole prestigio e popolarità. La realtà però è sempre più sfumata rispetto alla sua percezione pubblica. Certo, sono grato al vescovo Andrea per la fiducia che mi dimostra affidandomi una parrocchia tanto bella e ornata dalla speciale presenza della Madre dei Bimbi, ma so anche di dover lasciare una comunità vivace e persone veramente preziose, con qualità più uniche che rare. Del resto, uno dei compiti del sacerdote è quello di scoprire nel popolo di Dio doni e carismi sempre nuovi, quelli che lo Spirito Santo effonde liberamente sulle comunità cristiane».

La vita di ogni uomo è compresa tra due perenni paradigmi: la nostalgia di Ulisse con il suo eterno ritornare-restare all’amata Itaca e quello di Abramo, assetato di futuro, che lascia la sua terra per l’ignoto di Dio. Sembra che in questi due emblemi si confrontino anche due stili di Chiesa. In un tuo recente editoriale hai parlato della vocazione e disponibilità del prete all’obbedienza e agli spostamenti…

«Personalmente non sono abituato a restare per molto tempo in uno stesso posto. Da quando ho lasciato la mia casa natale, venticinque anni fa, ho cambiato diverse volte residenza: Firenze, Rocca di Papa, quattro zone diverse di Roma, San Miniato Basso… Effettivamente, la mia permanenza di dodici anni a Corazzano è stata finora la più lunga. E oggi riprendo la valigia per una nuova tappa, obbedendo alla chiamata di Dio che mi invita a prendere il largo. Anche Ulisse, d’altra parte, almeno in una poesia di Louis MacNeice che mi è cara (Thalassa), una volta tornato a casa non resiste a lungo al richiamo del mare e di nuovo salpa con nuovi compagni».

Un periodo di discernimento con i Gesuiti, poi frate nei Trinitari a Roma, infine sacerdote diocesano. Il tuo percorso vocazionale è a suo modo articolato e originale. Raccontaci qualcosa di più…

«La mia intenzione iniziale era quella di entrare in un Ordine religioso e l’incontro con la figura di S. Ignazio mi portò a bussare alla porta dei Gesuiti a Firenze. La settimana di Esercizi spirituali che mi proposero allora segnò una tappa fondamentale nel mio rapporto col Signore. Il desiderio di mettermi a servizio dei poveri e degli oppressi mi portò poi ad entrare nell’Ordine della SS. Trinità, il cui carisma specifico è il riscatto degli schiavi. Come postulante, novizio e infine come professo semplice sono rimasto tra i frati Trinitari per tre anni. Mi sono trasferito a Roma e qui ho intrapreso gli studi teologici da religioso. Li ho conclusi da seminarista diocesano. Nel frattempo ho vissuto per tre anni al Santuario della Madonna del Divino Amore – ancora una volta sotto lo sguardo di Maria – e un anno al Collegio Capranica».

Quali sono le figure che maggiormente hanno inciso nel tuo percorso spirituale…

«L’influsso più potente, agli albori del mio cammino, l’ha esercitato senza dubbio mia nonna Selica, donna semplice, dolce, ma dalla fede rocciosa e dalla fedeltà assoluta alla Chiesa. È morta quando ero ancora piccolo ma il suo esempio mi è rimasto dentro. Il suo testimone l’ha raccolto mia madre, che si è prodigata con amore per la mia educazione cristiana. Un ruolo determinante l’hanno avuto, poi, i due sacerdoti della parrocchia in cui sono cresciuto: don Idilio Lazzeri e don Mario Santucci. Benché fossi, come detto, inizialmente attratto dalla vita consacrata, è stato il loro esempio luminoso e concreto che alla fine mi ha fatto scegliere la via del sacerdozio diocesano. Ma vorrei ricordare anche i santi che mi hanno ispirato e accompagnato per lunghi tratti del cammino: Ignazio di Loyola, Giovanni Battista della Concezione (riformatore dell’Ordine Trinitario) e, negli ultimi anni, Eurosia di Jaca».

Hai una passione tutta particolare per la musica, tanto che volevi farne l’oggetto del tuo dottorato in Teologia…

«È una passione che mi ha trasmesso mio padre. Purtroppo non ho mai imparato a suonare bene uno strumento ma sono un discreto conoscitore del repertorio classico e moderno, mi sono dedicato alla filosofia della musica e da qui è nata l’idea del dottorato a cui ti riferisci. Penso che ormai la prospettiva di formali studi accademici sia tramontata, ma questo non preclude approfondimenti personali i cui risultati spero un giorno di poter condividere».

Hai all’attivo un musical e due libri; l’ultimo – «Vox clamantis» uscito nei mesi critici del lockdown – raccoglieva il meglio della tua produzione giornalistica uscita su questo settimanale. Quali altre sorprese ci riserva il futuro?

«Il musical sta per uscire su cd. Sono l’ideatore e autore del testo mentre le musiche sono di don Mario Costanzi. Spero di avere, anche come pievano di Cigoli, il tempo per coltivare questa vena creativa che, devo dire, si è manifestata un po’ tardi nella mia vita. Un’indiscrezione: un musicista della nostra diocesi mi ha accennato l’idea di scrivere un musical sulla Madre dei Bimbi. Chissà…».

Che frutti lasci in eredità a don Simone Meini che ti subentrerà nella conduzione dell’unità pastorale di Santa Maria in Valdegola?

«Lascio i frutti di un cammino unitario che prosegue da diversi anni, avviato da don Luciano Marrucci e don Raphael Vumabo. La Valdegola è stata la prima unità pastorale ad essere eretta canonicamente come parrocchia. Insieme all’allora vescovo Fausto Tardelli pensai di affidarla alla Madonna: così è nato il nome “Santa Maria in Valdegola”. Malgrado le fatiche e il campanilismo sempre in agguato, siamo riusciti a compiere alcuni passi importanti, unificando il catechismo, le celebrazioni principali dell’anno e i consigli pastorale ed economico. Penso che i fedeli delle quattro comunità della Valdegola abbiano compreso che unire le forze è necessario, in presenza di numeri molto ridotti, per servire meglio la causa del vangelo».

E ai tuoi nuovi parrocchiani c’è qualcosa che vuoi dire?

«Vorrei dire loro che spero di incontrarli e di conoscerli presto, nonostante le limitazioni e le difficoltà derivanti dall’emergenza sanitaria. Al di là delle varie iniziative e della creatività che potremo mettere in campo, la mia priorità sarà quella di far progredire la comunità e i singoli nella fede in Cristo Gesù, morto e risorto per la nostra salvezza, e nell’amore verso la Vergine Maria».

Intervista di Francesco Fisoni

 

Leggi anche:

» Omelia per l’Ingresso di don Francesco Ricciarelli a Cigoli

Sotto la replica del video dell’Ingresso a Cigoli di don Francesco Ricciarelli