Sinodo, l’incontro con don Vitali

«Sinodalità», un termine recente, uno stile antico

di don Francesco Ricciarelli

Doppio incontro a San Miniato con don Dario Vitali per riflettere sul significato del cammino sinodale che la diocesi sta per intraprendere. Quello della «sinodalità» sembra un tema di moda, ma ha radici antiche ed è una dimensione essenziale della Chiesa. Il suo fondamento è l’infallibilità del popolo di Dio «in credendo»

La domanda del sinodo, la sua questione di fondo è una sola: A che punto siamo con il camminare insieme, con l’essere Chiesa nella logica della fraternità?». Lo ha sottolineato don Dario Vitali, docente di Ecclesiologia all’università Gregoriana di Roma e consultore della segreteria generale del Sinodo dei vescovi, invitato dal nostro vescovo Andrea a tenere una conferenza ai fedeli della diocesi, la sera del 1° dicembre a San Miniato Basso, e una conferenza al clero la mattina successiva in cattedrale. Don Vitali ha ricordato come il tema del camminare insieme, che è stato lo stile della Chiesa del primo millennio, sia riemerso in maniera inaspettata, come un fiume carsico, in occasione dei sinodi sulla famiglia e della successiva pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia (2016) di papa Francesco. Alle critiche, anche drastiche, che i conservatori gli hanno rivolto il Santo padre ha dato un’unica risposta: «Ascoltiamoci». Il primo atto della Chiesa, è l’ascolto.

Di qui la ripresa forte, in questo pontificato, del tema della sinodalità individuata come ciò che Dio chiede alla Chiesa del terzo millennio. Poi è arrivata la costituzione apostolica «Episcopalis communio» (2018) in cui papa Francesco ha introdotto, con forza di legge, la trasformazione del sinodo da evento a processo. Non più, «quindi, un evento puntuale che vede riunirsi un gruppo di vescovi intorno al Papa per consigliarlo su una determinata materia, ma un processo che passa attraverso tre momenti, tutti parte integrante del sinodo stesso: la fase preparatoria, quella celebrativa e quella attuativa. In questa prospettiva l’assemblea dei vescovi non è che il punto di convergenza di un dinamismo di decisione condivisa da tutti battezzati.

Questa nuova prospettiva rispecchia un cambiamento del quadro ecclesiologico. Una Chiesa in cui tutti – popolo di Dio, collegio dei vescovi, vescovo di Roma – sono in ascolto gli uni degli altri e, nell’ascolto reciproco, sono in ascolto dello Spirito di verità che li guida.

Si tratta dell’ecclesiologia, ha notato don Vitali, in cui il Romano Pontefice è riconosciuto come principio e fondamento visibile dell’unità di tutti i battezzati, ma anche i singoli vescovi sono considerati principio e fondamento visibile dell’unità delle loro Chiese particolari, a partire dalle quali esiste la Chiesa universale. Ogni diocesi, infatti, secondo la definizione del decreto «Christus Dominus» del Concilio Vaticano II, è la porzione del popolo di Dio che «costituisce una Chiesa particolare nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica».

La doppia celebrazione di apertura del Sinodo, in San Pietro il 10 ottobre e nelle diocesi il 17 ottobre, non è stata quindi – come qualcuno ha lamentato – una reduplicazione del medesimo evento, ma la dimostrazione che la Chiesa universale accade, agisce e si manifesta nelle Chiese particolari. Domandando ad ogni vescovo di avviare la consultazione di una porzione del Popolo di Dio è quindi possibile che tutto il popolo di Dio sia convocato e partecipi alla fase preparatoria del sinodo.

La totalità dei battezzati che credono concordemente gode dell’infallibilità in materia di fede. Questo era ben chiaro nel primo millennio della Chiesa e si è manifestato, ha ricordato don Vitali, ancora in occasione della definizione dei dogmi mariani dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione.

Tutti i battezzati, concordi nella fede, sono oggi chiamati, attraverso il sinodo, a partecipare alla funzione profetica di Cristo, ricevuta nel Battesimo.

Dall’ascolto condiviso nascerà un processo di discernimento da parte del vescovo e dei presbiteri. Il frutto più importante di questa dinamica circolare di profezia e discernimento non sarà semplicemente una relazione da inviare a Roma ma la ritessitura di una coscienza ecclesiale in cui non ci sono più soggetti attivi e passivi, ma in cui tutti sono protagonisti.

Questa è la cosa più grande che ci potesse accadere, ha sottolineato il relatore, addirittura più importante, del Concilio Vaticano II, perché lì – riuniti in San Pietro – c’erano tutti i vescovi, qui ci sono tutte la Chiese, tutti i vescovi, tutto il popolo di Dio e tutti i presbiteri. Certo – ha concluso don Vitali – bisogna far funzionare le relazioni e questo possiamo farlo solo desiderandolo e chiedendolo.

*Segretario e coordinatore per il sinodo diocesano.