Il suggestivo racconto nell'omelia della notte di Natale

San Giuseppe e il sogno del vescovo

di Antonio Baroncini

Nell’anno che papa Francesco ha voluto dedicare al custode di Gesù una narrazione insolita, quasi teatrale: una lunga strada tortuosa, la cui meta, non ancora raggiunta, è Betlemme.

Le festività natalizie sono terminate. La liturgia, attraverso le letture bibliche ci ha ricordato gli eventi annunciati dapprima dai profeti, poi descritti dagli evangelisti, della nascita di Nostro Signore Gesù Cristo. Le omelie, durante le Messe celebrate in questo periodo, sono state tutte concentrate su questo evento unico, straordinario, chiarendone il significato più alto e nobile: Dio che si fa uomo. Una rivelazione che trascende la nostra ragione, inquadrata in un aspetto misterioso, che non si può conoscere se non per fede, interpretandone le reali conseguenze per il genere umano. Se sul piano divino, nel suo insieme, questo evento resta superiore alle nostre possibilità razionali, sul lato storico ed umano, si possono contemplare le persone reali che vi hanno preso parte e lo hanno realmente vissuto. Possiamo vedere e sentire il padre, Giuseppe, con la madre, Maria, con i pastori accorsi, con i Magi… con la testimonianza di un intero popolo.

L’OMELIA

Nella sua omelia per la notte di Natale il nostro vescovo Andrea si è fatto guidare dalla figura di San Giuseppe, proponendo con una narrazione insolita, quasi teatrale, il sogno di una lunga strada tortuosa, la cui meta, non ancora raggiunta, è Betlemme. S. Giuseppe è «un patrono, un amico, un testimone di Dio. È il padre di Gesù, qui in terra… Andiamo allora anche noi a Betlemme, lasciamoci guidare da Giuseppe».

IL «COLLOQUIO TEATRALE»

Inizia così un colloquio sincero, umano, tra il sognante e S. Giuseppe, in un continuo domandare, a cui la guida, risponde non con parole, ma mostrando la realtà degli incontri, molti e vari, lungo il cammino, che non segna l’itinerario più breve, e si svincola attraverso un largo tracciato, lontano da quello che caratterizza l’ambiente sabbioso e desertico della Palestina. «Dove vai Giuseppe? Betlemme non è da quella parte», lo avverte il sognante: «No, Giuseppe, dobbiamo andare in Palestina, è là Betlemme, ti attende perfino Maria. Dove vai Giuseppe? Dove ci stai portando?». L’enigma delle risposte che Giuseppe dà, facendogli visitare luoghi lontani, sta nell’interpretazione che racchiude quella grotta di Betlemme. È un luogo senza tempo definito, dove sono sempre presenti, nella loro progressione, gli eventi umani che si susseguano nel tempo, felici e tristi, ansiosi e sereni, di cui Gesù Bambino in fasce raccoglie gli effetti. Ce li traduce, interpretandone le conseguenze, in una visione di umiltà, di povertà, di amore, ricordandoci gli errori, le ingiustizie, le umiliazioni, le sofferenze fisiche e sociali che provocano l’abbattimento della dignità umana.

E SUL CAMMINO UN OSPEDALE…

In questo momento storico, il virus Covid-19 minaccia seriamente le nostre vite, e Giuseppe, ci porta in un grande edificio, l’ospedale, e ci invita a guardare, «a consolare, ad incoraggiare ogni malato, i medici, gli infermieri, che manifestano la loro stanchezza, il loro impegno, la loro preoccupazione per l’insufficienza delle strutture». «Bravo Giuseppe, fai bene ad ascoltarli, ad accogliere il loro lamento… E per favore, di’ loro, anche da parte nostra, il grazie più grande possibile». Si riprende la strada e ad ogni persona bisognosa che incontra, «per non dire degli immigrati, che si sono visti chiudere in faccia tante porte, si ferma per dare a tutti un aiuto». Giuseppe continua la sua strada ed entra in una casa dove una famiglia riunita nella sua intimità, manifesta le sue gioie, le sue sofferenze, le sue ferite, ma unita in quella atmosfera di comprensione e di amore che lega tutti i suoi componenti. Giuseppe, anche lui, perfino lui, con la mascherina, va avanti per una strada che non porta ancora a Betlemme, ma in mezzo a luoghi di lavoro, capannoni, a botteghe commerciali, dove si fatica e si soffre molte volte per portare «il pane a casa».

IL NOSTRO CUORE: LA SUA CASA

Ancora avanti e Giuseppe si dirige verso la mia casa. «Vieni allora, Giuseppe. Entra… questa è la mia casa», esclama il vescovo, identificando la sua casa col suo cuore. E in questa metafora esprime la sua felicità nell’avergli spalancato le porte della sua intimità spirituale.

LA SVEGLIA… IL SOGNO SI RIVELA

Quando la narrazione si fa ancora più avvincente, una voce: «Sveglia, sveglia… è la mattina di Natale». «Mamma, ma è già ora di alzarsi?! Stavo sognando, ero con Giuseppe… Si doveva andare a Betlemme e invece ci siamo fermati ovunque, abbiamo incontrato un sacco di gente, ma a Betlemme non c’eravamo ancora arrivati».

NOI, COMPARSE ATTIVE

Il vescovo, nella veste del sognatore, diciamolo pure, ha spiazzato tutti nella forma narrativa della sua omelia, nel farci gustare l’evento divino di quella capanna. Ci ha resi non solo spettatori, ma comparse attive in scene reali, vere del nostro momento attuale. Il palcoscenico è il nostro tempo con tutte le preoccupazioni e contraddizioni di cui l’uomo è vittima. Ci indica Giuseppe come guida per incontrare Colui che emana luce, serenità, sicurezza, speranza. È dispiaciuto quel sognatore, svegliato dalla mamma, di aver lasciato Giuseppe, la sua guida, che lo avrebbe portato in quella capanna da Gesù Bambino. Svegliato dal sonno rivede i luoghi visitati e riflette sul cammino percorso e deduce, senza esitazione, che quella capanna racchiude «luoghi e volti segnati dalla vita, da tante speranze e dalle preoccupazioni e sofferenze del tempo presente, il tempo della pandemia».

«CON CUORE DI PADRE»

Seguiamo allora Giuseppe, soprattutto in questo anno che papa Francesco ha voluto dedicargli con la lettera pastorale «Con cuore di padre» perché, come ha detto il Santo Padre stesso, lui «è custode, sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge… San Giuseppe, “l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta”. Eppure, il suo è “un protagonismo senza pari nella storia della salvezza”».