Con la Caritas per affrontare l'emergenza lavorativa

Quel lavoro che manca

la Redazione

Ci sono numeri che esprimono in modo plastico il livello di sofferenza di un Paese, numeri che dovrebbero tormentare i nostri sonni senza tregua: gli italiani in condizione di povertà assoluta già nel 2018 avevano superato la soglia critica dei 5 milioni di persone.

Una cifra praticamente pari agli abitanti di una regione come il Veneto. In questa catastrofe sono 1,8 milioni i nuclei familiari che non ce la fanno più, che hanno difficoltà talvolta a mettere insieme il pranzo con la cena. Si tratta di babbi e mamme che alla mattina danno il buongiorno ai figli con occhi languidi e cuore carico di amarezza, li vedono indossare lo zaino per avviarsi a scuola e nemmeno hanno più la forza o il coraggio per spiegare loro i motivi di un licenziamento o di una cassa integrazione. In Italia ci sono in questo momento circa 2,7 milioni di disoccupati, cui vanno aggiunte tre milioni di persone che il lavoro neppure più lo cercano (si tratta dei cosiddetti scoraggiati, non contemplati nelle statistiche).

Numeri intollerabili che significano una cosa sola: sciabolate sulla carne viva delle persone. Parliamo di lavoro che anche nei nostri territori, in tempi di Coronavirus e frenata mondiale dell’economia, genera così tanta ansia e trepidazione – perché in questi giorni il direttore della Caritas della diocesi di San Miniato, don Armando Zappolini, è tornato sull’argomento con un suo editoriale. Lo scritto fotografa lo sforzo che la Caritas diocesana sta producendo da alcuni mesi a questa parte, per dare una risposta concreta alle emergenze lavorative del nostro territorio: «Dalle rilevazioni effettuate nell’ultimo anno – scrive don Zappolini dai nostri 14 centri di ascolto disseminati su tutto il territorio diocesano, abbiamo evidenziato come, oltre all’emergenza del gioco d’azzardo, un’altra emergenza che attanaglia la vita di tante famiglie sia proprio il lavoro. Il lavoro è il primo scalino che per una persona è necessario affrontare per uscire dalla povertà. Non è solo fonte di un reddito ma rappresenta anche e soprattutto uno strumento per l’affermazione della propria dignità, per percepire di non gravare sugli altri, sentendosi al contempo utili e partecipi ai destini di una collettività. Come Caritas diocesana abbiamo cercato nel territorio una agenzia, la GiGroup, con la quale abbiamo ritenuto idoneo stabilire una sperimentazione, per attivare e facilitare percorsi di accesso al lavoro. E abbiamo rafforzato alcuni dei nostri sportelli di ascolto proprio con questa attenzione particolare. Già stiamo ricevendo i primi dati di ritorno delle persone che dai nostri centri si sono rivolte a questa agenzia. Dati che ci aiuteranno a capire se questo progetto è uno strumento efficace a questo scopo. Stiamo cercando come Caritas di affrontare la povertà non con la prospettiva di una sua cronicizzazione, che servirebbe solo a renderla endemica, creando dipendenza in chi vive il disagio, ma sempre con la prospettiva di un riscatto, della ricerca di un miglioramento della qualità di vita, di un’affermazione del principio indiscutibile della dignità della persona, e di rafforzamento della responsabilizzazione degli utenti. Una responsabilizzazione che porti nel tempo ad una autonomia. Stiamo insomma lavorando su questo, con impegno e passione e continueremo a farlo cercando di sensibilizzare l’attenzione delle nostre parrocchie e delle comunità cristiane della nostra diocesi, perché l’intervento sulla povertà non sia mai qualcosa che imprigiona i poveri nella loro condizione, ma costituisca al contrario una prospettiva di sviluppo, di crescita sociale e umana integrale».

Un’attenzione verso le emergenze lavorative, quella del direttore della Caritas diocesana, che conosce anche una sua specifica concretezza: nei giorni scorsi lo stesso don Zappolini insieme a Tommaso Giani (da poco ordinato diacono) e ai ragazzi del catechismo di Perignano e Gello hanno fatto visita a un gruppo di lavoratrici della Piaggio che dal 12 febbraio stanno portando avanti un presidio di protesta sul tetto del palazzo blu dell’Asl a Pontedera.

Proprio Tommaso Giani in una toccante testimonianza ha raccontato il dramma di queste donne, quasi tutte mamme: «Fa strano entrare nel palazzo dell’ASL di Pontedera e trovare un silenzio religioso. Niente code alle analisi del sangue, niente numerini, niente via vai di camici bianchi e pazienti. Solo noi: io, don Armando, i bimbi del catechismo di Perignano e Gello, e le guerriere in tuta blu. Ci accolgono in sette, sul tetto-terrazza all’ultimo piano, ma ad animare questo presidio che va avanti da 10 giorni 24 ore su 24 sono molte di più. Sono le operaie della Piaggio a cui, dopo tanti anni di lavoro alle linee di montaggio dei motorini, l’azienda non ha rinnovato il contratto. Il cosiddetto decreto “dignità” obbligava l’azienda, raggiunto il numero massimo di rinnovi, a trasformare il contratto da precario a stabile. Ma invece del tempo indeterminato è arrivato il benservito. Tutti a casa: l’azienda al loro posto ha fatto una infornata di altri lavoratori precari, per resettare la lancetta del tempo massimo prima della stabilizzazione. Le 30 guerriere sono mamme di mezza età, che già prima facevano i salti mortali per arrivare alla fine del mese, e che ora non sanno davvero come fare. Ma nonostante tutto hanno scelto di rimanere insieme e di non arrendersi, dando vita (con la sponda preziosa dei sindacati di base) a una protesta pacifica ed eclatante, capace di portare sul tetto del palazzo della Asl televisioni nazionali e autorità, fino a spingere anche il ministro del lavoro Nunzia Catalfo a riceverle a Roma una rappresentanza di queste operaie, per provare tutti insieme a fare la voce grossa con la Piaggio chiedendo la loro riassunzione».

Una delegazione delle operaie, accompagnate dall’Unione Sindacale di Base (Usb) e dalla consigliera regionale Irene Galletti, è stata poi ricevuta a Roma il 24 febbraio scorso al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dal vice capo di Gabinetto Fabia d’Andrea, vicariato dal ministro a seguire la vertenza. «Noi – ha proseguito Tommaso Giani nella sua testimonianza – non abbiamo la bacchetta magica, ma siamo saliti sul tetto lo stesso: per portare la nostra solidarietà e il buonumore dei nostri bimbi, e per metterci in ascolto della loro storia. I bimbi hanno visto e capito tutto. Hanno visto le bandiere del sindacato, le brandine della zona notte, la merenda preparata per noi. E hanno messo in pratica un pezzetto di sogno delle beatitudini di Gesù: un sogno dove le ingiustizie e le sofferenze non sono abolite; ma dove chi soffre e chi è sfruttato trova sempre una carezza per essere consolato, e un “siamo con voi” per continuare a lottare».