«Le 4 del pomeriggio»

Quando il calcio insegna a vivere

di don Tommaso Giani

Sette giovani del nostro territorio guidati dal diacono Tommaso Giani in una periferia difficile di Roma: il quartiere Corviale, immenso complesso in cemento armato, lungo un kilometro e mezzo in cui vive una città di quindicimila persone. Qui è nata l’esperienza rivoluzionaria del «Calciosociale» che ribaltando le regole dello sport competitivo e aggressivo crea i presupposti di una visione democratica del gioco e della vita. A Corviale giocano tutti, senza distinzione di sesso e abilità e vince chi custodisce le cose e i valori anche fuori dal rettangolo verde.

 

A Roma lo chiamano il serpentone: un palazzo grigio di dimensioni monstre (alto dieci piani e lungo un chilometro e mezzo) capace secondo le dicerie della gente di sbarrare la strada pure al “ponentino”, la brezza estiva che la sera dal mare spira verso la città eterna. Dentro il serpentone ci abita una città di quindicimila abitanti: sono tutte case popolari, ma non tutti quelli che ci abitano sono assegnatari regolari. Circa la metà sono entrati a viverci senza permesso, con allacci alla luce e all’acqua abusivi, e col pericolo costante di essere sfrattati: non solo e non tanto dal Comune, ma da altri disperati in cerca di un alloggio di fortuna.

In questo concentrato di povertà e disoccupazione, dove al bar si parla solo ed esclusivamente romanesco, e dove sono tanti i ragazzi che si perdono in comportamenti devianti, abuso di sostanze e assenza di futuro, il nostro gruppo partito da San Miniato (sulle ali della Caritas diocesana e del progetto «Le 4 del pomeriggio») è andato a viverci per una settimana.
La nostra squadra, capeggiata dal sottoscritto e composta da Consuelo, Sabino, Giulia, Elettra, Federico, Leonardo e Stefano, ha fatto base al centro sportivo Calcio Sociale, un fiore all’occhiello di questo quartiere complicato, dentro i cui spazi i bambini e i ragazzini del quartiere possono giocare e studiare seguiti da una bella equipe di educatori-allenatori. Oltre al calcio normale, infatti, sui due bellissimi campi sportivi dell’associazione di quartiere (e un terzo campo, a 11, è in costruzione) si pratica anche il calcio sociale: un gioco che si è inventato l’ideatore di questo polmone sportivo ed educativo del quartiere, Massimo Vallatti, nostro angelo custode durante la settimana, e che è caratterizzato da alcune varianti al regolamento del calcio classico mirate a coinvolgere e includere anche chi a pallone sa giocare meno bene; per esempio nelle partite di calcio sociale giocano in squadre miste ragazzi, ragazze, giovani e pensionati, disabili e fuoriclasse, e ogni giocatore non può segnare in una singola partita più di tre gol, in modo da mandare in rete anche chi sulla carta avrebbe meno feeling con il gol; inoltre a calcio sociale non esiste l’arbitro (bisogna mettersi d’accordo, con l’aiuto degli educatori…) e i panchinari devono entrare di continuo con una rotazione automatica, per giocare tutti lo stesso tempo.

Anche noi ovviamente abbiamo giocato a calcio sociale, con dei ragazzi e con delle ragazzine agguerritissime del quartiere; ma anche abbiamo aiutato i muratori a smontare dei pannelli del controsoffitto della palestra, e soprattutto abbiamo parlato e fatto amicizia con diverse mamme e nonne del quartiere, che ci sono venute a trovare, ci hanno raccontato i loro vissuti in una Roma molto più dura e più autentica rispetto alle immagini da cartolina a cui si fermano i turisti; e ci hanno fatto da guida nei meandri dei vari lotti del serpentone, fra ascensori cigolanti, scale interminabili, pittbull statuari, terrazze panoramiche, appartamenti regolari e postriboli occupati.

La full immersion in periferia non ci ha comunque impedito di fare alcune belle esperienze di prossimità e di vangelo vissuto anche in altre parti della città: come in piazza San Pietro, dove siamo stati una sera a portare alcuni generi di conforto ai tantissimi senza tetto accampati sotto il colonnato della basilica; come al palazzo occupato Spin Lab, zona stazione Termini, dove vive anche una suora che condivide la quotidianità con decine di famiglie in emergenza abitativa e dove abbiamo fatto amicizia con diversi adolescenti che poi abbiamo invitato al mare a Fiumicino l’ultimo giorno della nostra settimana; e come al campo rom di Salone, alla periferia est della capitale, dove siamo stati a far visita alla famiglia di una bambina uccisa da un treno in transito un paio di mesi fa e dove abbiamo regalato giochi per bambini, magliette da calcio e materiale scolastico, in segno di vicinanza e di solidarietà con il lutto che genitori, parenti e amici della bambina stanno vivendo.