Riflessioni

Passare oltre

di Antonio Baroncini

Il termine «Pasqua» deriva dalla parola ebraica «Pesah» che significa «passare oltre».

Cosa significa, oggi, per noi, uomini del terzo millennio «passare oltre»? Nei secoli passati, come la storia biblica ci tramanda, già prima dell’avvento di Gesù, Mosè avvisò il Faraone d’Egitto che Dio avrebbe mandato un’ultima, terribile piaga e prima che si scatenasse la sua forza, chiese che gli Israeliti venissero salvati con le loro famiglie.

Tutti gli Israeliti avrebbero dovuto macellare un agnello maschio, arrostirne le carni e mangiarle in un pasto frugale. Il sangue degli agnelli, simbolo d’innocenza, sarebbe servito a segnare gli stipiti delle porte delle famiglie ebraiche e così l’angelo sterminatore le avrebbe risparmiate. La Pasqua ebraica segna questo passaggio, ma oggi cosa significa per il cristiano questo verbo «Passare oltre?».

La Pasqua cristiana rappresenta il momento in cui Gesù sconfisse la Morte, divenne Redentore, Salvatore, dell’umanità, liberandola dal peccato originale e segna l’inizio di una nuova esistenza, quale luogo di «attesa per tutti i fedeli dopo la Morte».

Passare oltre, però, umanamente, vuol dire anche andare oltre al nostro egoismo, alla nostra presunzione di superiorità, al nostro possesso di ricchezze che la vita non a tutti ha offerto, alla nostra indifferenza. Pesah, allora, acquista un significato forte e mette in evidenza la povertà vera, umiliante, ingiustamente punitiva che affligge un nostro fratello nel Signore, togliendogli ogni sua dignità di uomo. Occorre passare oltre, quindi a questa ingiusta cultura dell’indifferenza che non ci permette di vedere la grande quantità dei poveri che noi non vediamo: «i poveri nascosti, dice papa Francesco, e di questi ce ne sono tanti, tanti». La povertà di tanta gente è vittima «dell’ingiustizia strutturale dell’economia mondiale» e tanti di loro si vergognano di far vedere che non arrivano a fine mese; tanti poveri che vanno di nascosto alla Caritas e di nascosto chiedono e provano vergogna.

«Ma io li vedo? Io me ne accorgo di questa realtà? Soprattutto di coloro che provano vergogna di dire che non arrivano a fine mese?» così papa Francesco richiama la nostra maturità e sensibilità cristiana. «La prima domanda che ci farà Gesù è: “Come ti sei comportato con i povei? Hai dato da mangiare? Quando era in carcere, lo hai visitato? In ospedale, lo hai visto? Hai assistito la vedova, l’orfano? Perché lì ero Io”. E su questo saremo giudicati», continua papa Francesco. Non si stanca di ripeterci che «non saremo giudicati per il lusso o i viaggi che facciamo o l ‘importanza sociale che avremo, ma per il nostro rapporto con i poveri. Ma se io, oggi, ignoro i poveri, li lascio da parte, credo che non ci siano, il Signore mi ignorerà nel giorno del giudizio». Questa è la nostra Pasqua: passare oltre l’indifferenza e l’ingiustizia verso il nostro prossimo, sofferente ed umiliato ed elargire comprensione ed aiuto, poiché «questo è il centro del Vangelo e noi saremo giudicati su questo».