Il secondo libro di don Armando Zappolini

«Mettersi in gioco»

di Antonio Baroncini

Don Armando con Mimma Scigliano lancia un altro suo libro: «Mettersi in gioco? L’azzardo: dalle storie di dipendenza alle strategie per combatterlo», edito dalla San Paolo con la prefazione di padre Alex Zanotelli. È stato presentato in prima assoluta, venerdi 3 maggio, all’auditorium monsignor Melani di Ponsacco, su iniziativa dell’Amministrazione comunale nel quadro degli incontri sul tema della legalità, alla presenza della sindaca Francesca Brogi, alla giornalista, scrittrice ed autrice Mimma Scigliano, che nel libro riporta testimonianze di giocatori patologici in percorso di recupero presso la comunità residenziale di Festà, in provincia di Modena, del giornalista Stefano Ceccarelli direttore di “50 Canale”, che ha moderato, e ovviamente dell’autore e animatore della serata don Armando. Nel suo primo libro «Un prete secondo Francesco», don Zappolini aveva dichiarato che quello sarebbe stato il suo primo ed ultimo libro. Ma si sa, scrivere è un po’ una malattia che può dare dipendenza, soprattutto se i riscontri di critica e pubblico sono lusinghieri.

E noi siamo lieti di questo ravvedimento del parroco di Perignano, perchè anche questo libro fa di nuovo centro e invitando a una seria presa di coscienza del fenomeno descritto. Diciamo subito allora che siamo in presenza di un libro di riflessioni, di dati statistici, di episodi nefasti realmente accaduti a persone trascinate, dalla frenesia del gioco, nel tunnel della dipendenza e terminate nello sprofondo del vizio del gioco senza più freni di tenuta. Nel leggere queste storie si nota come la penna scorra velocemente sui fogli bianchi, poiché niente è da inventare o ricostruire, c’è solo – con indubbio dolore – da raccontare tristi storie, reali, di persone, di giovani che hanno distrutto nelle loro coscienze una possibilità di serenità e tranquillità: col gioco d’azzardo s’inizia per divertirsi e si finisce restando prigionieri di quella brama emotiva ed irrazionale della vincita. L’agognata soddisfazione di ottenere massimi risultati nelle ipotetiche combinazioni del gioco cattura e imbriglia mente e cuore, divenendo vera malattia, distruttrice e patologica. «Il giocatore patologico non sta su un piano di realtà. Il gioco è un sogno. […] Tutti quelli relativi alla fortuna, all’alea (al rischio) sono pensieri non concreti e inesistenti sui quali, però, incredibilmente i dipendenti basano la loro vita e le loro relazioni». I dipendenti dal gioco d’azzardo sono un’utenza complessa sia da capire sia da trattare, Non bisogna poi trascurare che questa dipendenza, ben più delle altre, è strettamente connessa al denaro, aspetto intrinsecamente rilevante della società attuale, aspetto che, se possibile, rende ancor più difficile lo smarcarvisi. Il libro ben presto si fa politico, poiché è principalmente la politica rappresentativa che ha l’obbligo etico di farsi carico di questo pericoloso ingranaggio su cui scivolano troppe vite umane e su cui girano fiumi di soldi connessi alle attività illecite delle organizzazioni mafiose: dove vi è denaro vi è mafia. Abbiamo il classico sillogismo: gioco, denaro, mafia, le tre dimensioni che si concatenano le une con le altre. Se la politica è l’arte di proteggere e di aiutare la gente, preservando la sua tranquillità e serenità, non è più possibile metter in mezzo tempo affinché il gioco venga regolamentato con autentiche norme legislative.

Ecco la sfida che le 34 associazioni nazionali che operano nel sociale stanno portando avanti, nel faticoso intento di responsabilizzare istituzioni, deputati e senatori di ogni inquadramento politico, per ottenere leggi preventive che tutelino dalla dipendenza del gioco, non solo i più deboli, ma tutti noi, perché «può davvero capitare a tutti – come ha dichiarato Mimma Scigliano – di iniziare a percorrere la strada senza uscita cui il gioco d’azzardo invita». Nel testo don Armando fornisce delle indicazioni e presenta anche un manifesto, condiviso dalle 34 associazioni di cui si è detto, che si fonda su alcuni punti cardine: A) Porre un freno, da parte dello Stato, al modello di “liberalizzazione controllata” del gioco d’azzardo in Italia. B) Restituire un potere decisionale alle comunità locali. C) Inserire il gioco d’azzardo patologico all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza previsti per i servizi sanitari. D) Costituire un tavolo di confronto con le Associazioni ed i Servizi impegnati nel settore. Non sono norme specifiche, ma fondamenti su cui implementare progressivamente leggi di tutela e di restrizione per i giocatori e per coloro che speculano su questo sistema di gioco. Perlustrando le pagine del libro, ci imbattiamo poi nel capitolo 9, dal quale promana un’alta e profonda riflessione sul problema: vi si trovano alcune frasi di padre Alex Zanotelli, che entrano nella carne viva, toccano la coscienza e la vita interiore di ognuno di noi e ad ognuno di noi rivolgono domande inquietanti. Si entra nel campo spirituale e religioso e nell’etica pastorale della Chiesa.

«Le persone – asserisce padre Alex – non hanno né percezione né consapevolezza del problema. È importante educare la gente ai rischi del gioco d’azzardo e trasmettere valori che servono a contrastarlo. E chi meglio delle parrocchie può fare questo? Le Chiese sono agenti spettacolari per creare e diffondere valori. I preti dovrebbero parlarne nelle omelie e se ne dovrebbe parlare negli ambienti pastorali. È un’opera fondamentale per creare coscienza nei fedeli». La prevenzione resta il mezzo più efficace. Nelle scuole insieme alle famiglie, nelle parrocchie insieme a tutti i punti di aggregazione, formando una rete di aiuto e di cooperazione culturale, è indispensabile formare, educare contro la pericolosità del gioco. Il compito è certamente difficile, impegnativo, occorre una specifica e continua preparazione, oltre a tanta maturità e responsabilità degli educatori e dei genitori nei confronti, ad esempio, dei ragazzi. Per questo la formazione non termina mai su questo “fronte di guerra”, ma deve essere sempre vigile per rilanciare costantemente l’entità della problematica, che evolve a seconda del momento di vita in cui si trova il soggetto dipendente. Il titolo porta il punto di domanda che è il vero cardine del libro. Attende una nostra risposta. Potremmo anche non rispondere a questo appello, ma è giusto ritirasi ancora sotto il guscio dell’indifferenza o della paura? In finale mi sono sentito di rivolgere una domanda a don Armando: «Ci puoi sintetizzare, in una frase, la complessa e tormentata tematica del libro?» Cristallina e struggente la risposta: «Quando si incontra la sofferenza non possiamo restare da una parte, bisogna metterci in gioco». Grazie don Armando per il tuo essere “Un prete secondo Francesco”.