Consiglio Pastorale Diocesano

«Le vie della preghiera»

Lettera ai fedeli della diocesi di San Miniato sulla preghiera

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». (Lc 10,38-42)

 

Il racconto che narra l’episodio dell’incontro di Gesù con Marta e Maria (Lc 10,38-42) è situato tra la “parabola del buon Samaritano” (Lc 10,25-37) e l’insegnamento sulla preghiera che trova la sua massima espressione nel “Padre nostro” (Lc 11,1-13). Tale collocazione pone l’accento sulla correlazione che esiste tra l’accoglienza, l’ascolto, il servizio; tre dimensioni che qualificano il rapporto con il Signore, ma anche le relazioni fraterne.

Offriamo alla meditazione dei fedeli della diocesi di San Miniato il frutto di un tempo di ascolto, confronto e condivisione che i membri del consiglio pastorale diocesano hanno fatto sulla “preghiera”, cercando di individuare gli “ingredienti buoni” e le “dosi giuste”, non per confezionare dei prodotti pronti per l’uso, quanto per offrire dei “possibili menù”, gustosi, che possano dare sapore all’esperienza personale e comunitaria dell’ascolto e dell’accoglienza del Signore nella nostra vita. Anche l’affanno di Marta – nel dare il meglio di sé – trova senso ed è ricompensato in questo piccolo servizio che offriamo, affinché ciascuno possa trovare una tavola imbandita di buoni prodotti e possa sedersi ai piedi del Maestro per incontrarsi “a tu per tu” con lui e poter dire: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).

 

Alla luce della rivelazione sappiamo che l’uomo cerca Dio perché Dio cerca l’uomo e lo attrae a sé. Nell’Antico Testamento Dio si fa interlocutore personale del suo popolo mediante una storia di eventi e parole; crea un legame speciale di alleanza. La preghiera è ascolto della sua parola e risposta ad essa; è dialogo in cui viene vissuto consapevolmente il rapporto di alleanza. Nei Salmi trovano espressione tutti i sentimenti umani: gioia e desolazione, gratitudine e desiderio, contemplazione e impegno, fiducia e protesta, compassione e ira. Ma l’anima di tutto è sempre la lode di Dio; perfino la sofferenza e l’ingiustizia diventano nella speranza motivo di benedizione. Gesù introduce nella storia la preghiera filiale: la vive in prima persona e la comunica ai credenti. Insegna il “Padre nostro”; esorta a chiedere soprattutto il dono dello Spirito Santo; indica le caratteristiche che deve avere la preghiera dei figli: sincerità, umiltà, fiducia,  audacia, perseveranza. Lo Spirito del Signore sostiene e guida la preghiera dei figli di Dio, perché si rivolgano al Padre con lo stesso atteggiamento di Gesù. Fa della Chiesa un’esperienza assidua di preghiera, fin dall’inizio del suo cammino storico. La preghiera cristiana è un dialogo a più voci, che ha l’ultimo riferimento in Dio Padre. A questo dialogo il credente non partecipa solo con la mente, ma con tutta la persona: intelligenza, volontà, affettività, corporeità. La preghiera nasce dal cuore, ma coinvolge anche il corpo.[1]

 

Sette potrebbero essere gli ingredienti che ci sentiamo di suggerire per imbandire questo banchetto. C’è chi potrebbe gradirne solo alcuni, altri magari riconoscono che un buon “pranzo spirituale” li richieda tutti. Sono delle vie che sentiamo di valorizzare e condividere per rendere più gustosa la vita cristiana delle comunità. Per ciascuno di tali ingredienti indichiamo poche ed essenziali caratteristiche, potremmo dire “proprietà nutritive”, tratte da fonti autorevoli. Ciascuno potrà farne tesoro, comporre il proprio menù, condividerlo con altri, impegnarsi per preparare i più giovani all’arte della preghiera, offrire lungo il cammino ristoro spirituale a chi si incontra, certi che il Signore non farà mancare ai sui discepoli il nutrimento di cui hanno bisogno per camminare verso l’incontro con Lui.

 

Il silenzio

​Tra le molte cose che si possono dire sulla maniera in cui è vissuta oggi la dimensione contemplativa dell’esistenza, viene in mente la disabitudine alla pratica della preghiera e alle pause contemplative. In questo la nostra civiltà occidentale si distingue nettamente dalle civiltà dell’Oriente, dove sono in onore la pratica e le tecniche contemplative e il gusto per la riflessione profonda. Forse la gente prega e riflette più di quanto non sappia o non dica. Si tratta di aiutarla a dare un nome più preciso, un indirizzo più costante, a certe impennate del cuore che, più o meno intensamente, sono presenti nella storia di ognuno. L’esodo massiccio dalle città nei periodi di vacanza e nei fine settimana esprime in fondo anche questo desiderio di ritorno alle radici contemplative della vita. Lo sfondo generale lo dà la cultura occidentale attuale, che ha un indirizzo tutto teso al «fare», al «produrre», ma che genera per contraccolpo un bisogno di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo. Sia l’attivismo frenetico sia certe maniere di intendere la contemplazione possono rappresentare una «fuga» dal reale. Per far evolvere questa situazione non basterà risvegliare una ricerca di preghiera, occorrerà anche purificare, orientare certe forme scorrette o insufficienti di ricerca. In particolare occorrerà evitare le contrapposizioni tra azione, lotta e rivoluzione da un lato, e contemplazione, silenzio e passività dall’altro. Bisognerà dare uno specifico orientamento sia all’azione sia alla contemplazione. (…) Va tenuto presente anzitutto il tono esasperato che assumono le contraddizioni della civiltà industriale. Questo rende ancor più stimolante e profetico il compito di elaborare modelli e forme di preghiera contemplativa per l’uomo d’oggi. Si può ricordare la crisi di certi adulti che, sparite certe forme tradizionali di preghiera legate al ritmo pre-industriale, faticano a trovare nuove forme. Si può ricordare la consolante richiesta di silenzio contemplativo da parte di certi giovani. E la confluenza di più civiltà nella trama internazionale della nostra società. Il confronto con le forme di preghiera provenienti soprattutto dall’Oriente può diventare uno stimolo per una più rigorosa scoperta degli originali valori della preghiera cristiana, sullo sfondo di un dialogo e di un reciproco arricchimento con altre tradizioni. La proposta di riflettere sulla dimensione contemplativa della vita intende provocare il recupero di alcune certezze che hanno patito qualche scolorimento e qualche eclissi: l’importanza del silenzio, il primato dell’essere sull’avere, sul dire, sul fare, il giusto rapporto persona-comunità. Mi pare venuto il momento di ricordare che l’abitudine alla contemplazione e al silenzio feconda e arricchisce, che non si ha azione o impegno che non sgorghi dalla verità dell’essere profondo. L’uomo «nuovo» – cui la fede ha dato un occhio penetrante che vede oltre la scena e la carità, un cuore capace di amare l’Invisibile – sa che il vuoto non c’è e il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità. Sa che l’Universo è popolato da creature gioiose, e di essere spettatore e già in qualche modo partecipe dell’esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce, amore, felicità del Dio Trino. Perciò l’uomo nuovo, come il Signore Gesù che all’alba saliva solitario sulle cime dei monti, aspira ad avere per sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante, dove sia possibile tendere l’orecchio e percepire qualcosa della festa eterna e della voce del Padre. Carlo Maria Martini, Avvenire, 6 marzo 2012

 

La Parola

La parola di Dio è Dio stesso che si rivela e si dona nella storia degli uomini, fino a comunicarsi personalmente in Gesù di Nazareth. Gesù è la Parola eterna e creatrice di Dio fatta carne e dice parole che «sono spirito e vita» (Gv 6,63): risana i malati, apre gli occhi ai ciechi, risuscita i morti, converte i peccatori, chiama i discepoli, promette e dona lo Spirito Santo. La Chiesa, come il profeta Ezechiele, riceve il libro della parola di Dio come qualcosa da mangiare, simbolicamente: «Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla… Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele» (Ez 3,1-3). Il Signore affida la Sacra Scrittura alla Chiesa, perché incessantemente la legga, la interpreti, la viva e l’annunci; le dona la luce dello Spirito Santo, perché questa rilettura sia una interpretazione oggettivamente giustificata e corretta, senza manipolazioni o aggiunte arbitrarie. La guida, perché la sua tradizione di fede, questo continuo ricevere e trasmettere, riascoltare e rivivere in ogni generazione, sia uno sviluppo coerente, saldamente ancorato al fondamento della Scrittura, posto «una volta per sempre» (Catechismo degli adulti, 611, 615)

 

Il primato della Parola deve riplasmare il volto della chiesa facendo di ogni cristiano un servo della Parola (cf. Lc 1,2) e di ogni ministero un servizio della Parola (cf. At 20,20): “La predicazione pastorale, la catechesi e tutta l’istruzione cristiana, in cui l’omelia liturgica ha un posto privilegiato” (DV 24), devono trovare nella Scrittura la loro linfa vitale. La centralità della Scrittura nella chiesa è volta “ad apprendere la sovreminente conoscenza di Gesù Cristo” mediante l’assiduità con essa: “L’ignoranza delle Scritture infatti è ignoranza di Cristo” (DV 25). […] È lo Spirito santo che, fecondando le Scritture nel grembo della chiesa, svela il volto di Cristo, guida all’incontro con lui e orienta le esistenze personali e comunitarie a una vita in obbedienza alla Parola emersa dallo “sta scritto”. (Enzo Bianchi, Ascoltare la Parola. Bibbia e Spirito: la “lectio divina” nella chiesa Edizioni Qiqajon, Magnano 2008)

 

La Lectio divina

Già nella Sacra Scrittura è insistente l’invito a recitare e meditare assiduamente la parola di Dio, per poterla vivere: «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, perché tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto» (Gs 1,8). Presso i Padri della Chiesa la lettura orante della Bibbia è raccomandata come via privilegiata per stabilire un contatto vivo con Dio: «Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio». Individuano i principali momenti in cui si articola questa preghiera. «La lettura è l’applicazione dello spirito alle Sacre Scritture; la meditazione è l’investigazione accurata di una verità nascosta con l’aiuto della ragione; l’orazione è la tensione devota del cuore verso Dio per allontanare il male e ottenere il bene; la contemplazione è l’elevazione dell’anima a Dio, anima che è avvinta dal gusto delle gioie eterne. La lettura ricerca la dolcezza ineffabile della vita beata; la meditazione la trova; l’orazione la chiede; la contemplazione la gusta… La lettura porta il nutrimento alla bocca, la meditazione lo mastica e lo trita; l’orazione lo assapora e la contemplazione è questo sapore medesimo che riempie di gioia e rifocilla». La lettura offre il cibo della Parola. Va fatta con attenzione, pacatezza, senza sorvolare ciò che sembra secondario, interpretando correttamente il senso oggettivo storico. Occorre leggere e rileggere, rilevando ciò che appare più significativo, lasciandosi mettere in questione. La meditazione rumina la parola, la custodisce nel cuore come Maria. Ciò che è stato letto viene confrontato con passi biblici paralleli, con i misteri della fede, con la vita personale, con gli avvenimenti e le situazioni della storia di oggi. Si risvegliano sentimenti di pace, di gioia, di generosità e di coraggio. Si cerca di discernere la concreta volontà del Signore e si prende un impegno preciso. L’orazione esprime i sentimenti e i desideri santi che nascono nel cuore. La parola di Dio entrata in noi si fa parola nostra rivolta a Dio. Si possono ripetere in dialogo con lui formule ricavate dal testo letto o espressioni spontanee di lode, di gratitudine, di rimorso, di supplica, di intercessione. La contemplazione rivolge a Dio l’attenzione amorosa e adorante, in profondo silenzio, senza parole. Per qualche istante può ottenere un’intuizione vivida della sua presenza. La comunicazione condivide con altri fratelli la risonanza interiore che la Parola, letta, meditata, pregata e contemplata, ha avuto nel proprio cuore. Può avvenire all’interno di una sobria celebrazione comunitaria, in cui si proclama ancora la stessa Parola, acclamandola eventualmente con il canto. Questo ultimo momento della preghiera vera e propria si prolunga nella missione, testimoniando con le azioni della vita quotidiana la Parola che ha preso carne nel credente. Accogliendo in sé l’amore di Dio per tutti, ci si dona generosamente agli altri. Il metodo, così articolato e completo, mette in particolare evidenza come la parola di Dio comunichi la vita di Dio. I metodi nella preghiera possono essere molti, come del resto nella catechesi e nello studio. Ma l’incontro assiduo con la Parola è necessario a tutti per ricevere, mantenere e sviluppare la vita cristiana. (Catechismo degli adulti, 611, 698)

 

Adorare il Signore nell’Eucaristia

Terminata la santa Messa, il pane eucaristico viene conservato nel tabernacolo per il viatico dei moribondi, per la comunione dei malati e di altre persone che non sono potute intervenire. La presenza del Signore nel pane consacrato dura finché rimane l’aspetto di pane. Per questo la Chiesa promuove l’adorazione eucaristica anche fuori della Messa in varie forme: visita al SS. Sacramento, comunione spirituale, benedizione eucaristica, solenne processione nella solennità del Corpo e Sangue del Signore, quarant’ore di adorazione, congressi eucaristici. In questi incontri più o meno prolungati, il Signore ci parla ancora con la sua donazione silenziosa; ci chiama a morire a noi stessi per risorgere alla vita autentica della carità; ci aiuta a discernere secondo una prospettiva pasquale le situazioni e gli avvenimenti. Da parte nostra possiamo in qualche modo prolungare la preghiera eucaristica della Messa, in cui sono sintetizzati gli atteggiamenti fondamentali di ogni preghiera cristiana: memoria, lode, ringraziamento, offerta, supplica, intercessione. “La presenza di Gesù nel tabernacolo deve costituire come un polo di attrazione per un numero sempre più grande di anime innamorate di Lui, capaci di stare a lungo ad ascoltarne la voce e quasi a sentirne i palpiti del cuore. […] L’adorazione eucaristica fuori della Messa diventi un impegno speciale per le singole comunità parrocchiali e religiose. Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù presente nell’Eucaristia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le trascuratezze, le dimenticanze e persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del mondo. Approfondiamo nell’adorazione la nostra contemplazione personale e comunitaria.” (cfr. S. Giovanni Paolo II, Mane Nobiscum Domine, 18) (Catechismo degli adulti, 611, 698)

 

La Santa Messa e la preghiera comunitaria

L’Eucaristia è fonte e culmine di tutta la vita cristiana. La liturgia eucaristica ripresenta, nel contesto di una preghiera di lode e di ringraziamento e nella forma di un convito sacrificale, il sacrificio pasquale di Cristo, perché diventi il nostro sacrificio e ci coinvolga nel suo dinamismo di carità. Alla luce dell’esperienza di Pasqua e di Pentecoste, nello stupore e nella gioia per le opere mirabili della creazione, della redenzione e della santificazione, la Chiesa riprende la preghiera di lode e di ringraziamento di Gesù al Padre e la prolunga nei secoli: «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre Santo». In sintonia con la carità universale di Cristo, la Preghiera eucaristica si fa intercessione per il mondo e per la Chiesa universale e particolare, per i presenti e per gli assenti, per i vivi e per i defunti. Gli atteggiamenti espressi dalla Preghiera eucaristica animano anche i successivi riti di comunione: la preghiera del Padre nostro, il segno della pace, la frazione del pane, la comunione sacramentale. Verso quest’ultima tende tutta la celebrazione. Perciò la Chiesa raccomanda vivamente di ricevere la comunione eucaristica ogni volta che si partecipa alla santa Messa. Infondendo nel cuore la carità di Cristo e la speranza del regno di Dio, l’Eucaristia diventa la sorgente della missione del cristiano e della comunità ecclesiale. La Messa si prolunga nelle strade, nelle case, nei luoghi del lavoro e del tempo libero. Trasformato dalla partecipazione al mistero di amore di Cristo, il cristiano assume la carità come principio che dà forma a tutta la sua vita. (Catechismo degli adulti, 688, 693, 694, 697)

 

Le preghiere di ogni giorno e il Rosario

Noi impariamo a pregare in momenti particolari, quando ascoltiamo la Parola del Signore e quando partecipiamo al suo mistero pasquale; ma è in ogni tempo, nelle vicende di ogni giorno, che ci viene dato il suo Spirito perché faccia sgorgare la preghiera. L’insegnamento di Gesù sulla preghiera al Padre nostro è nella medesima linea di quello sulla provvidenza: il tempo è nelle mani del Padre; è nel presente che lo incontriamo: né ieri né domani, ma oggi: «Ascoltate oggi la sua voce: “Non indurite il cuore”» (Sal 95,8). Pregare negli avvenimenti di ogni giorno e di ogni istante è uno dei segreti del Regno rivelati ai « piccoli », ai servi di Cristo, ai poveri delle beatitudini. È cosa buona e giusta pregare perché l’avvento del regno di giustizia e di pace influenzi il cammino della storia, ma è altrettanto importante « impastare » mediante la preghiera le umili situazioni quotidiane. Tutte le forme di preghiera possono essere quel lievito al quale il Signore paragona il Regno. La Tradizione della Chiesa propone ai fedeli ritmi di preghiera destinati ad alimentare la preghiera continua. Alcuni sono quotidiani: la preghiera del mattino e della sera, prima e dopo i pasti, la liturgia delle Ore. La domenica, al cui centro sta l’Eucaristia, è santificata soprattutto mediante la preghiera. Il ciclo dell’anno liturgico e le sue grandi feste rappresentano i ritmi fondamentali della vita di preghiera dei cristiani. Il Signore conduce ogni persona secondo strade e modi che a lui piacciono. Ogni fedele, a sua volta, gli risponde secondo la risoluzione del proprio cuore e le espressioni personali della propria preghiera. Tuttavia la tradizione cristiana ha conservato tre espressioni maggiori della vita di preghiera: la preghiera vocale, la meditazione, la preghiera contemplativa. Esse hanno in comune un tratto fondamentale: il raccoglimento del cuore. Tale vigilanza nel custodire la Parola e nel rimanere alla presenza di Dio fa di queste tre espressioni dei momenti forti della vita di preghiera.

Il Rosario unisce la recitazione del “Padre nostro”, delle “Ave Maria” e del “Gloria” alla meditazione degli eventi salvifici. «Se il rosario non è preghiera contemplativa, è un corpo senz’anima, un cadavere» (Paolo VI, Marialis cultus, 47). Mentre rivolgiamo a Maria la lode con il saluto “Ave Maria” e l’invocazione con la formula “Santa Maria”, insieme con lei siamo rivolti a Gesù, motivo della lode e fondamento dell’invocazione, riviviamo con lei i misteri salvifici del suo Figlio e li meditiamo nel nostro cuore. Nello stesso tempo possiamo insieme con lei chiedere l’intervento del Signore per una necessità particolare. Così questa preghiera vive di una triplice attenzione: a Maria, a Cristo, alle attuali necessità degli uomini. (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2659, 2660, 2698, 2699; Catechismo degli adulti, 993)

 

Il canto

L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando è celebrata in canto, con i ministri di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e con la partecipazione del popolo. In questa forma di celebrazione, infatti, la preghiera acquista un’espressione più gioiosa, il mistero della sacra Liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono manifestati più chiaramente, l’unità dei cuori è resa più profonda dall’unità delle voci, gli animi si innalzano più facilmente alle cose celesti per mezzo dello splendore delle cose sacre, e tutta la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge nella Gerusalemme celeste. Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura. (Istruzione “Musican Sacram” della Sacra Congregazione dei Riti, 5, 16)

 

I fedeli, che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (cfr. Col 3,16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cfr. At 2,46). Perciò dice molto bene sant’Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama», e già dall’antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte». Nella celebrazione della Messa si dia quindi grande importanza al canto, ponendo attenzione alla diversità culturale delle popolazioni e alle possibilità di ciascuna assemblea liturgica. Anche se non è sempre necessario, per esempio nelle Messe feriali, cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto, si deve comunque fare in modo che non manchi il canto dei ministri e del popolo nelle celebrazioni domenicali e nelle feste di precetto. Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono o dal lettore con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme. (Ordinamento generale del Messale Romano, 39, 40)

 

Il cantare, proprio perché supera il modo usuale di parlare, è come tale un evento pneumatico. La musica ecclesiale sorge come «carisma», come dono dello Spirito: essa è la vera «glossolalia», la nuova «lingua» che proviene dallo Spirito. In essa soprattutto accade la «sobria ebbrezza» della fede, perché sono superate tutte le possibilità della pura razionalità. Ma questa ebbrezza resta sobria perché Cristo e lo Spirito sono una cosa sola, perché questa lingua «ebbra» resta comunque interamente nella disciplina del Logos, in una nuova razionalità che, al di là di tutte le parole, serve alla parola originaria, che è il fondamento di ogni ragione. (Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della Liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 136)

 

[1] Cfr. Catechismo degli adulti, n. 957, 958, 959, 960, 961, 962, 971.

 


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