Santa Croce sull’Arno

La profezia di Helder Camara a 20 anni dalla morte

di Francesco Fisoni

«E tu sai chi erano i Beatles?». Confessa di essere stato colto da vertigine mista a sconcerto, il vescovo Roberto Filippini, biblista e presidente della Caritas Toscana, quando, informando i suoi collaboratori di Curia che sarebbe venuto a Santa Croce per presiedere una conversazione su Helder Camara, si è sentito chiedere: «E chi è Helder Camara?». Il vecchio ritornello della canzone degli Stadio – «E tu sai chi erano i Beatles?» appunto – gli ha fatto da elegante stampella per glissare. «Il dono della profezia da dom Helder Camara a papa Francesco» era il titolo della serata cui il presule di Pescia ha partecipato e che aveva nel monaco benedettino Marcelo Barros la voce di spicco. Padre Barros, biblista e teologo brasiliano tra i più prolifici e originali, è stato a lungo collaboratore di Helder Camara, il grande arcivescovo di Recife, padre conciliare, ribattezzato il “vescovo dei poveri” e scomparso esattamente venti anni fa, nel 1999. E così, grazie a questi due importanti interlocutori, dal palco del teatro Verdi di Santa Croce sono balenati alcuni dei frammenti più belli della storia della Chiesa del secondo dopo Guerra.

Nato in una domenica di carnevale a Fortaleza, Helder Camara, undicesimo di tredici figli, si vide imporre dal padre – giornalista e massone – quello strano nome di battesimo, ricavato da una carta geografica: Helder è un piccolo porto dei Paesi Bassi. In olandese Helder significa “cielo limpido, cielo luminoso”, e possiamo dire che mai nome fu più carico di presagi, perché dom Helder in tutta la sua vita è stato davvero cielo luminosissimo per uno sterminato popolo di poveri che cammina ancor oggi nelle tenebre. Ordinato sacerdote a 22 anni, contemplativo, mistico, oratore acceso, infaticabile organizzatore, scrittore, poeta, ha sempre considerato sé stesso come un uomo in perenne formazione. Da giovane sacerdote s’impegno anche in politica organizzando, su richiesta del suo vescovo, un partito cattolico. A 35 anni lo troviamo assistente nazionale dell’Azione cattolica e nel 1952, appena 43enne, Pio XII lo fece vescovo ausiliare di Rio. Uomo lungimirante e dallo sguardo profetico, da neo vescovo, “inventa” la Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani, che farà scuola e sarà replicata in ogni parte del mondo. È in questi anni che profonde ogni sua energia in favore dei poveri delle favelas, fondando per loro la “Banca della Provvidenza di San Sebastiano”. Nel 1959 Roma chiede anche a lui, come a tutti i vescovi del mondo, che cosa si aspetti dal Concilio. Dom Helder risponde di sognare una Chiesa capace di futuro, aperta al mondo, madre e medica dei poveri. Una Chiesa capace di contestare le strutture che generano povertà e ingiustizia. Partecipa al Concilio divenendo ben presto uno dei più conosciuti e stimati padri, pur non avendo mai preso la parola in assemblea, ma riuscendo a sviluppare una straordinaria attività di connessione in gruppi informali, che avranno poi enorme influenza sull’elaborazione dei testi conciliari.

Fu tra i fautori di quella che sarebbe divenuta “l’opzione preferenziale per i poveri”, firmando tra gli altri il “Patto delle catacombe”. Paolo VI lo nomina nel 1964 arcivescovo di Recife e da quel momento – in Brasile c’era la dittatura militare – si distingue per le sue coraggiose denunce che lo faranno diventare ufficialmente il “vescovo dei poveri” o – per la gente – “il vescovo piccolo”, perché fisicamente era davvero un fuscello, dalla statura e corporatura minuta eppur dotato di una forza di fascinazione magnetica. Sono note le sue veglie notturne, un impegno portato avanti fin dal momento della sua ordinazione sacerdotale: ogni notte si svegliava alle 2 e fino alle 4 scriveva, pregava e dialogava col Signore e con il suo angelo custode, cui era devotissimo. Da vescovo ha scritto ben 18.800 circolari, una produzione sterminata, il cui vaglio richiederà molto tempo nel processo di canonizzazione, attualmente in corso. Dopo l’approfondimento biografico di Filippini, l’intervento di Marcelo Barros, 75 anni, ordinato sacerdote proprio da dom Camara, è stato invece modulato sulle corde emotive dei ricordi personali: «Non lasciar cadere la profezia» furono le ultime parole che dom Helder consegnò, sul letto di morte, al suo amico e collaboratore Marcelo. Parole che furono decisive per il monaco benedettino, e che hanno fortemente riorientato il suo cammino di vita e i suoi studi: «Studiando la bibbia – ha sottolineato padre Barros – ho sempre pensato che i profeti fossero personaggi eccezionali, una diretta emanazione dalla sfera del sacro. È stato dom Helder a farmi capire che invece i profeti sono persone comuni. La profezia di Camara è stata proprio quella di essere una persona normale». E parlando dell’impegno per i poveri: «Da giovane sacerdote dom Helder credeva di poter aiutare i poveri coinvolgendo i ricchi. Più tardi ha dovuto ricredersi, constatando che i poveri non saranno mai liberati per mano del potere e delle élite. Diceva spesso: “Il mondo sarà migliore solo quando il più piccolo crederà nell’altro piccolo”». Una volta rispondendo a un giornalista che gli chiedeva un giudizio moraleggiante sul topless che le donne esibivano senza imbarazzo nelle spiagge di Recife, disse che la sua preoccupazione era per chi non aveva niente da mettersi addosso e non per chi, avendo tanto (si trattava in fin dei conti di una moda borghese), poteva addirittura permettersi di svestirsi. Camara era fatto così, intelligente, lucidissimo, capace di ironia e di artigliate insospettate.

Barros ha ricordato anche un momento difficile, quando nel 1985, lasciato l’episcopato per raggiunti limiti d’età, dom Helder venne accusato di cattiva gestione economica, perché alla sua uscita la diocesi si trovava in stato di dissesto economico. Fu lo stesso Barros a difenderlo pubblicamente, sostenendo che non si trattava di cattiva amministrazione ma di scelta consapevole e deliberata in favore dei poveri, visto che gran parte dei beni oggetto di discussione erano stati alienati proprio per aiutare i poveri. «Perché il sogno trasparente di Camara – ha sottolineato in chiusura il benedettino brasiliano – è sempre stato quello di una Chiesa povera, senza potere, missionaria e pasquale, impegnata nella liberazione di ogni uomo. Esattamente ciò per cui si sta tanto spendendo oggi papa Francesco, che ci sta riconducendo nel solco del vangelo». Una serata bella e “nutriente” che il nostro vescovo Andrea ha così chiosato: «Barros ci porta il respiro dell’America Latina, la freschezza di una Chiesa e di una teologia che il Concilio ha anticipato e di cui tanto abbiamo bisogno. Siamo grati a padre Marcelo che, illustrandoci l’esempio di dom Camara, ci aiuta a comprendere ancor più in profondità la teologia del popolo di Dio, che poi è il vero criterio interpretativo dell’azione pastorale di papa Francesco».