Il mistero dell'umiltà di Dio

La Domenica delle Palme

di Antonio Baroncini

Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma».

Così il profeta Zaccaria aveva annunziato! Gesù, quindi, fa il suo ingresso a Gerusalemme, sede del potere civile e religioso della Palestina, acclamato come si faceva solo con i re però a cavalcioni di un’asina, in segno di umiltà e mitezza. La cavalcatura dei re, solitamente guerrieri, era infatti il cavallo. Il vero Re si presenta umile, spoglio di qualsiasi indumento e di qualsiasi segno regio. Alla folla che lo acclama: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!», risponde benedicendo, manifestando quanto vana sia la gloria terrena: «Chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar». La folla numerosissima, radunata dalle voci dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente rendevano onore a Gesù.

I fanciulli ebrei, sventolando Ciascuno in mano il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi: la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la forma delle cui foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, legati insieme con un filo d’erba (Lev 23,40), cantavano: «Hosànna in excélsis». Tutto questo fu una vera, eclatante ovazione regale! Mentre l’apparato festante designava gloria ed onore, Gesù riportava questo aspetto esteriore alla umiltà, alla semplicità, alla mitezza, particolarità dello spirito più che della esteriorità comportamentale dell’uomo. «Così parla l’Eterno: Il savio non si glori della sua saviezza, il forte non si glori della sua forza, il ricco non si glori della sua ricchezza» afferma il profeta Geremia. Siamo ad un bivio: prendere la strada della superficialità indicata dalla gloria terrena o quella della rettitudine che Gesù ha tracciato con la sua Parola? Lascia libero l’uomo nella sua scelta, indicandone però, il cammino.

Come è possibile che quel tripudio di gloria si trasformi in una ignobile condanna, quando anche l’autorità civile, Pilato, il governatore, ponendo quel popolo esaltante ad una scelta: Gesù o Barabba, chiedeva: «Ma che male ha fatto?». Ecco la risposta: il popolo, scegliendo Barabba, esortato per odio, dai sommi sacerdoti e dagli anziani, scelse la strada dell’indifferenza alla giustizia, dell’insensibilità all’amore, dell’impassibilità alla verità, ritenuto questo cammino egoisticamente, più comodo e meno impegnativo per raggiungere la felicità terrena. Il popolo stava ripudiando la sua Parola, seguendo il proprio fragile, sterile ed ingannevole istinto. «Sia crocifisso», urlava il popolo: la gloria si trasforma in accusa, ma nello stesso tempo si stava concretizzando il grande, misterioso disegno divino: Dio ama l’uomo, sua creatura, a tal punto da immolare sulla croce il suo Figlio diletto, Gesù, il Re dei Re, fattosi uomo. «L’umiltà è la via di Gesù: seguiamola» (Papa Francesco).