Inizio Anno Pastorale 2018-2019

Intervista al Vescovo sul cammino della nostra Chiesa

di Francesco Fisoni

Eccellenza, sta per iniziare il quarto anno da quando papa Francesco l’ha chiamata sulla cattedra episcopale di San Miniato. Un anno importante, che vedrà a breve anche la pubblicazione della sua seconda lettera pastorale. Si sta delineando sempre più chiaramente la sua idea di cammino per la nostra diocesi. Vorrebbe richiamarci le tappe salienti di questo percorso, illuminando anche la prospettiva per il futuro della Chiesa sanminiatese?

«Il “primo tempo” della mia presenza a San Miniato e nella Diocesi è stato un tempo di conoscenza e incontro. In questo sono stato aiutato soprattutto dai sacerdoti che mi hanno introdotto e presentato alle varie comunità, raccontandomene la storia. Mi è stato di grande aiuto il vicario generale Monsignor Morello Morelli e tutti coloro che a vario titolo collaborano con la Curia. Si è trattato di un periodo molto intenso, nel quale sono entrato in contatto con tante belle realtà a cui guardo tutt’ora con gratitudine e fiducia.

Il tempo della conoscenza è stato importante perché mi ha consentito di calarmi pian piano nella Diocesi, affiancandomi ad un cammino. Il mio desiderio per questo “primo tempo” era proprio quello di cominciare a camminare insieme, scoprendo la tradizione, la vitalità e l’intraprendenza che c’è nelle nostre comunità e nella nostra gente. Poi, sullo scorcio del 2016, con la prima lettera pastorale (“Con vento favorevole” ndr), davo un primo indirizzo alla vita diocesana e, raccogliendo le parole del Papa a Firenze, invitavo a recepire con cammino sinodale l’Evangelii gaudium, indicando alcune tappe di lettura e ascolto della Parola, e favorendo al contempo l’avvio di percorsi di riforma di alcune realtà diocesane.

Questo, che potremmo definire il “secondo tempo” della mia presenza tra voi, ha incarnato l’invito a riscoprire con sempre maggiore profondità la comunione con tutta la Chiesa e il cammino pastorale delineato dal Santo Padre, cercando contemporaneamente di cogliere le concrete ricadute del suo magistero. È stato quindi un tempo non più solo di conoscenza ma anche di ascolto delle varie realtà della nostra diocesi, dove il mio desiderio si è concentrato nello sforzo di realizzare comunione per prepararci insieme ai cambiamenti necessari. Direi insomma che questo “secondo tempo” è stato come un entrare nel tempo ordinario delle nostre parrocchie, condividendo la celebrazione dei sacramenti, le feste patronali e parrocchiali e tutte quelle numerose occasioni di riflessione che si sono presentate».

 

Ha parlato di “primo” e “secondo tempo”. Continuando con questa immagine, potremmo dire che il “terzo tempo” della sua presenza qui tra noi a San Miniato inizia proprio con l’uscita della nuova lettera pastorale?

«Si è così. La nuova lettera pastorale avrà per titolo “E camminava con loro”, con riferimento ad un versetto del racconto dei discepoli di Emmaus. Con questo documento è mio desiderio accompagnare i passi che già stiamo facendo. Per questo “terzo tempo” auspico una stagione di ulteriore condivisione della “ferialità” vissuta dalle nostre comunità, ma richiamando in prospettiva due accenti che provengono direttamente dall’Evangelii gaudium e dal magistero successivo di Papa Francesco: il primo accento coincide con la necessità e l’urgenza di riscoprire la sinodalità, ossia il camminare come Chiesa con uno spirito sinodale. Proprio alla luce di questo ho voluto richiamare il tema dei laboratori (catechesi, famiglia, Unità pastorali, edificio del Seminario, periferie della carità, ripensamento degli uffici e dei servizi di Curia) che già durante questo anno dovrebbero portare a conclusione i loro lavori e le loro proposte, in modo da avere alcuni orientamenti che nasceranno proprio come frutto di un lungo percorso condotto sinodalmente.

L’altro accento che richiamo nella lettera è il tema dell’accompagnare, ripreso dal capitolo ottavo dell’Amoris laetitia di Papa Francesco. Lo faccio rileggendo alcune realtà della vita della nostra Diocesi secondo lo stile dell’accompagnare. Annuncio poi che, in vista delle celebrazioni del 2022, quando la nostra diocesi festeggerà il quarto centenario dalla sua nascita, ci prepareremo spiritualmente con un cammino triennale, e nel 2019 inizierà in modo formale anche la mia visita pastorale a tutta la diocesi».

 

Il cardinal Bassetti sarà il prestigioso “cerimoniere” dell’avvio di questo nuovo anno pastorale a San Miniato. Alla luce dei desideri di Chiesa e di pastorale espressi dal Santo Padre proprio nella Evangelii gaudium, quale mandato e quali consegne si attende dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana per la nostra Chiesa locale?

«Credo che il cardinal Bassetti potrà aiutarci a penetrare maggiormente il sentire e la sensibilità che il Papa ha nell’accompagnare la Chiesa. Da quando è stato eletto presidente della CEI, sta molto visitando le varie realtà italiane. Proprio a motivo di questo ci incoraggerà sicuramente ad allargare gli orizzonti, facendoci cogliere il cammino della Chiesa italiana. È uno sguardo che può farci bene, aprendo squarci anche sul nostro futuro diocesano. Bassetti è una persona di generosa schiettezza, capace di aiutarti ad approfondire il vangelo e la bellezza dell’essere cristiano. Mi rallegra molto la sua presenza a San Miniato, anche perché quando era rettore del Seminario di Firenze ha avuto vari preti della nostra Diocesi come seminaristi. Ogni volta che lo incontro me li richiama, chiedendomi di loro. C’è insomma un sentimento di profonda amicizia che lo lega alla nostra diocesi».

 

L’estate appena trascorsa è stata per lei molto intensa, con visite quasi quotidiane agli innumerevoli campi e oratori estivi, organizzati per i nostri giovani da parrocchie e associazioni diocesane. C’è stata anche la marcia a tappe, sotto il sole infuocato di agosto, per raggiungere i settantamila del Circo Massimo a Roma. Un significativo impegno di appassionata fatica insomma. Osservando l’attenzione e dedizione paterna con cui cerca questi giovani, le chiedo: Cosa spera possa fiorire da questo sforzo pastorale-educativo? Se ne intravedono già i frutti?

«Per me poter incontrare giovani e ragazzi non è mai una fatica, ma rappresenta ogni volta un piacere e un motivo di grandissima gioia. Le innumerevoli parrocchie e associazioni che si sono spese per organizzare campi scuola, raccontano la ricchezza delle nostre realtà ecclesiali, come “portatrici sane” di idee pastorali tagliate su misura per i giovani. Trovo poi di grande valore che come educatori e animatori, siano coinvolti altri giovani che fanno un loro cammino formativo per vivere questo servizio. Siamo qui davvero in presenza di una delle dinamiche pastorali più fruttuose della nostra diocesi, ed è un dono per me poter essere presente a queste realtà in questi momenti, poterle incontrare come vescovo e come amico.

Riguardo al frutto… direi che il frutto è nell’evento stesso. Nel riconoscere cioè che nella nostra Chiesa locale c’è una presenza di giovani e ragazzi positivi e carichi di disponibilità. Sono loro la ricaduta già evidente nelle realtà che organizzano e promuovono queste iniziative. Tutto questo è segno di grande speranza perché ci dice varie cose: innanzitutto che ragazzi e giovani disposti a mettersi in gioco e ad essere autentici se ne trovano ancora, così come si trovano comunità che offrono queste significative occasioni di crescita. C’è poi un ulteriore elemento di grande portata, ed è il fatto che dietro a questa gioventù si coglie la presenza e la responsabilità delle famiglie che li inviano a fare i campi e gli oratori. È come una raggiera che si estende e che coinvolge soggetti sempre più a largo orizzonte.

Certamente poi lo sguardo per il futuro è quello di pensare che questi ragazzi e giovani saranno il domani della nostra Chiesa e che dedicandoci a loro oggi, ci stiamo dedicando a noi, perché ci dedichiamo alla vita della nostra stessa comunità. Il mio auspicio finale è allora che da queste esperienze e da questi incontri nascano delle belle vocazioni alla famiglia, alla vita consacrata e al sacerdozio».

 

Ottobre sarà il mese del lungamente atteso Sinodo dei giovani. In una trasmissione del maggio scorso su TV 2000, lei augurò a questa grande assise di saper accogliere e rilanciare le migliori esperienze e prassi di pastorale giovanile esistenti oggi nella Chiesa, mettendo al contempo in guardia dal rischio che i lavori si trasformino in «un parlarsi tra vescovi, sui giovani». Il Sinodo – leggendo anche l’Istrumentum laboris nel frattempo pubblicato – rappresenta davvero una preziosa occasione: ritiene che ne possa scaturire, con l’aiuto di Dio, una nuova stagione per la Chiesa?

«Sicuramente il Sinodo è un evento rilevante per la Chiesa, anche per tutto il cammino di preparazione che lo ha preceduto. Sarà un momento di Grazia, soprattutto perché opera lo Spirito Santo, che saprà suggerire alla sua Chiesa le parole giuste per parlare ai giovani, come saprà suggerire ai giovani parole per parlare alla Chiesa. Celebrare un Sinodo è proprio questo: creare l’occasione perché lo Spirito ci guidi un po’ di più come Chiesa.  Proprio partendo dall’Instrumentum laboris, frutto di lungo ascolto e consultazione, il dialogo tra vescovi sarà indubbiamente proficuo e animato. Occorre certo tener presente che l’orizzonte è ampio, trattandosi di un orizzonte mondiale, per cui non dobbiamo pensare che verranno affrontati solo o semplicemente i problemi dei giovani in Italia.

Quello che sicuramente riscontro è il desiderio autentico e sincero della Chiesa di ascoltare, comprendere e accompagnare il loto cammino e anche la consapevolezza di possedere quell’eterna parola di vita da dire loro che è il vangelo».

 

Eccellenza, guardando al tempo storico di grande confusione che stiamo vivendo e alla tempesta attuale che squassa la Chiesa, viene da aggrapparsi con forza a certe parole di Pascal: «C’è del piacere a essere in una barca sbattuta dalla tempesta, quando si è certi che non soccomberà. Le tribolazioni che travagliano la Chiesa sono di questa natura». Ripensavo anche al motto che campeggia nel suo stemma episcopale: «Maestro dove abiti?». Ebbene, quali problematiche e questioni contemporanee – fuori e dentro la Chiesa – abita oggi Gesù? Dov’è che noi uomini contemporanei, in perenne difetto di speranza, possiamo ancora trovarlo?

«Proprio in riferimento alle parole di Pascal, mi viene in mente la toccante immagine che utilizzò Papa Benedetto XVI nel febbraio 2013, durante la sua ultima udienza del mercoledì, quella di congedo dal suo pontificato, quando parlando del suo ministero, disse di essersi sentito come Pietro e gli apostoli sopra la barca avversata dalle acque agitate e dal vento contrario, sul lago di Galilea. Ma aggiunse anche di esser sempre stato certo che su quella barca, insieme a lui, c’era sopra anche il Signore. Questo vale anche oggi: sulla barca di Pietro, che è la Chiesa, c’è il Signore e laddove questa attraversa la tempesta, il Signore ridice sempre quello che disse ai discepoli: non abbiate paura! Il tempo della fatica è esattamente il tempo in cui riconoscere che il Signore è maggiormente presente tra noi e che è Lui a guidarci. Lui per primo ama la sua Chiesa, non una Chiesa ideale, ma questa Chiesa ferita che procede nella storia con le sue contraddizioni e i suoi tradimenti. E il dono di un Papa Francesco ai nostri giorni costituisce un motivo di grande consolazione per noi.

Penso allora che proprio le stagioni e le epoche di difficoltà sono anche i tempi della grande speranza, perché nel riconoscere gli errori e nell’ammettere le cadute e i peccati, stiamo nuovamente costruendo i luoghi dove la misericordia di Dio ci rialza e rimette in cammino. Anche noi, nella nostra Chiesa diocesana siamo perennemente chiamati a riconoscere le nostre fragilità e povertà, per concedere a Dio il privilegio di perdonarci e rialzarci.

Certo, il contesto di fragilità e disorientamento si respira anche nel clima culturale che stiamo vivendo. . Per rimanere alla nostra Italia e all’Europa, preoccupano certe spinte razziste o i nazionalismi risorgenti. Come Chiesa non ci è chiesto di schierarci politicamente o a livello partitico, ma ci è chiesto di ridire che il vangelo è apertura, accoglienza del fratello e riconciliazione. Così come il vangelo ci chiede di annunciare con forza la vita. E allora, nel mondo di oggi, siamo proprio noi cristiani che dobbiamo ridire con coraggio che la vita è tale dal suo concepimento fino alla morte naturale. Tutto questo con un orizzonte di vita di popoli e nazioni che deve essere di incontro e di apertura.

Queste sono le case e i luoghi dove s’incarna ancora oggi il Maestro e dove possiamo ancora cercarlo e trovarlo».