ARTICOLO

Intervista a Mons. Andrea Migliavacca per il 25° di ordinazione presbiterale

intervista di Simone Zucchelli

Il prossimo 27 giugno ricorre il 25° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del nostro Vescovo Andrea. La Diocesi ha scelto di ricordare e di festeggiare quest’anniversario con due importanti appuntamenti: il primo sarà domenica 25 giugno con la Solenne Concelebrazione Eucaristica in Cattedrale alle ore 18 seguita da un brindisi in seminario per tutti i presenti; il secondo si svolgerà proprio martedì 27 giugno, “Giornata del clero”, con una meditazione sul ministero del presbitero in seminario alle ore 10, e una Concelebrazione Eucaristica in Cattedrale alle ore 11.30, seguite da un pranzo in seminario con i sacerdoti. In queste giornate, il Vescovo Andrea tornerà con la mente e il cuore a una data che ha segnato e orientato tutta la sua vita. Ne parliamo con lui in questa intervista che ha concesso al settimanale.

Eccellenza, che cosa si ricorda di quel giorno?
«Venticinque anni fa, dopo il cammino di sei anni di seminario a Pavia, ricevevo il grande dono dell’ordinazione presbiterale. Ricordo anzitutto la settimana di esercizi spirituali, di preghiera, vissuta per prepararmi all’ordinazione. È stato poi un giorno molto bello: la presenza della mia famiglia, che ringrazio di cuore per avermi sempre accompagnato, i volti di amici preti e seminaristi e di tanti altri che appartenevano alle realtà del mio paese, Binasco, e delle parrocchie dove ero stato seminarista, Certosa di Pavia e Giovenzano, Vellezzo Bellini hanno reso intensa quella celebrazione. Non posso dimenticare il Vescovo che mi ha ordinato prete, Mons. Giovanni Volta. Quindi la celebrazione, in particolare il momento del canto delle litanie, prostrati a terra, l’imposizione delle mani e poi l’abbraccio con tutti i presbiteri. E poi anche la festa al mio paese, dopo l’ordinazione, con una festosa accoglienza in chiesa. Un particolare ricordo voglio rivolgerlo al mio “compagno di Messa” don Gian Paolo Doniselli. Abbiamo fatto il cammino di seminario insieme e nella stessa celebrazione siamo diventati preti. E’ un ricordo particolarmente intenso per lui, perché purtroppo, a causa di un incidente, nel 2001 egli è morto. Sicuramente fa festa con noi dal cielo».
 
Com’è nata la sua vocazione?
«La mia vocazione nasce in un contesto normale di vita e di Chiesa. Anzitutto l’ambiente della mia famiglia, con i miei genitori Chiara e Giuseppe e mia sorella Elena. In famiglia ho respirato sempre un clima di fede sincera e quotidiana. Poi nonni e zii, tra cui lo zio prete don Adriano. La famiglia quindi è il primo ambito in cui è nata la mia vocazione. C’è poi la parrocchia: i sacerdoti, in particolare don Luigi Lucini e don Natale Rampoldi, la vita dell’oratorio, le attività di animazione, il coro, la banda, il catechismo, l’azione cattolica. Parrocchia e oratorio sono stati il secondo ambiente che ha coltivato e messo in luce la mia vocazione. Non mancava poi un’attenzione alla preghiera e negli anni delle superiori anche la Messa quotidiana e una confessione frequente. La presenza della preghiera mi ha aiutato pure a scoprire la vocazione. Infine penso ai volti di tanti preti, dei quali ho intuito la loro vita bella, intensa, capace di dono e di profondità. La vita bella di altri preti è stata motivo di fascino che alla fine mi ha portato in seminario».
 
Ha mai avuto il dubbio che potesse essere una scelta sbagliata?
«Non penso di aver avuto dubbi seri di aver fatto una scelta sbagliata. Eventuali momenti difficili non hanno mai messo in dubbio la bellezza e il dono di essere prete e col desiderio di custodire proprio un dono si può camminare nella gioia e talvolta nella fatica».
 
Che cosa vuol dire essere sacerdote oggi?
 «Papa Francesco ci regala tante immagini che ci aiutano a scoprire chi è il prete oggi. Credo che come presbiteri si debba mettersi in ascolto della testimonianza che il Papa ci dà. Il prete è prima di tutto un uomo di preghiera. A questo egli deve dedicare tempo, silenzio, spazi interiori e materiali. In particolare egli si nutre della Parola di Dio. Il prete è inoltre un annunciatore. Egli è chiamato a portare il vangelo, a raccontare la Parola e a testimoniare a tutti che Gesù è vivo ed è il Salvatore. Per questa ragione il presbitero deve stare in mezzo alla gente. È necessario saper ascoltare, dedicare tempo all’accoglienza, all’ascolto; è importante anche che il prete apra spazi di vita e di ambiente: sappia accogliere tutti, facendo sentire di casa. Il papa ci parla appunto del prete con l’odore delle pecore. Il prete poi è sacerdote della grazia, in particolare con la celebrazione dei sacramenti, preparata anche da un proficuo cammino di catechesi. Per la catechesi si dovrà aver cura di promuovere e formare il servizio di validi catechisti. Infine il prete è uomo della carità, soprattutto verso gli ultimi, i più poveri. Ma dove si trova un prete così, potremmo chiederci? Nessuno, neanche il vescovo, devono avere la presunzione di realizzare pienamente questo progetto. Allora non ci resta che diventare testimoni dell’annuncio più importante, la misericordia di Dio. E il prete potrà testimoniare, nei suoi limiti e povertà, di essere un peccatore perdonato e per questo dispensatore della grazia e dell’amore di Dio».
 
Nei giorni scorsi ci sono stati la giornata del seminario e l’aperitivo con i giovani. Che cosa direbbe a un giovane che pensa al sacerdozio ma ha un po’ di paura, magari incontra resistenze in famiglia?
 «Inviterei questo giovane ad accompagnare il tempo delle scelte con la propria preghiera e ad individuare un sacerdote con cui avviare un percorso di colloqui e di confronto che lo possano aiutare a scegliere. Alla fine occorre abbandonarsi. Non si può decidere di entrare in seminario perché tutte le garanzie di cui sentiamo il bisogno sono assicurate. S’inizia un cammino fidandosi, assumendo anche i rischi della scelta. E solo iniziando, avviando il cammino, “buttandosi” si sperimenta di essere accompagnati. Ai giovani che pensano a un possibile ingresso in seminario dico: venite a dirmelo e cammineremo insieme».