Lunedì 1° Ottobre, a San Miniato Basso

Il Cardinale Gualtiero Bassetti apre l’anno pastorale

di Francesco Fisoni

«La mia vita sembra una piramide rovesciata: più salgo in su con gli anni e più gli impegni aumentano». “Don Gualtiero” da Marradi è così, schietto e sincero come il pane e le castagne del suo Mugello. C’è una passione inesausta nel suo discorrere. Muove corde profondissime. Come si fa a non volergli bene? Eppure arriva stanco a San Miniato: negli ultimi sette giorni è rimbalzato dalla Calabria alla Toscana, poi di nuovo giù in Puglia per risalire ancora in Toscana, e tutto questo alla tenera età di quasi 77 anni. Rivela con tocchi d’umorismo di quando, alcuni mesi fa, si presentò al cospetto di Papa Francesco per intonare il suo desiderato «nunc dimittis» e domandare il pensionamento come pastore della Chiesa. Il Santo Padre trattenne un fremito e gli disse: «Vai, vai…». «Certo Santità… vado via». «No, vai avanti!». «E dove vado?». Di lì a poco uscì dal cilindro la nomina a Presidente della Conferenza dei Vescovi, che ne ha fatto un po’ il parroco di quella grande “parrocchia” che è l’Italia.

Dopo aver scaldato l’uditorio con generose dosi di ironia, Bassetti scarnifica e va al sodo, conducendo il suo ragionamento verso una trasparente riflessione sulla Evangelii gaudium e sulla conversione pastorale che il Papa sta continuamente implorando dalla Chiesa. Viviamo un tempo di pigrizia spirituale e il Santo Padre non si stanca di pungolarci. Confessa che occorre un cambiamento radicale di mente e cuore, se non vogliamo essere relegati all’irrilevanza, se non desideriamo vedere la fede in Cristo derubricata a pratica già evasa dalla storia degli uomini. Non basta più salvare l’esistente, ci è chiesto di camminare, altrimenti finiremo per perdere tutto, anche l’esistente. Se non riusciremo nuovamente a raggiungere i giovani e le famiglie delle prossime generazioni, ciò che rimarrà della nostra bimillenaria storia, sarà solo corteccia.

E prosegue: «Guardando il passato, come Chiesa, non possiamo dire di aver sbagliato, ma siamo stati certamente incompleti. Abbiamo formato giovani poi abbandonati a metà del guado, celebrato matrimoni lasciando coppie sole a navigare a vista nel mare spesso in tempesta della vita familiare. Tutti nella Chiesa – anche i sacerdoti – hanno bisogno di accompagnamento».

Si fa appassionato quando parla di Papa Francesco, nel quale vede un uomo di coriacea tempra evangelica, che si alza alle quattro del mattino per pregare. Un “profeta” che a 82 anni, per fedeltà al suo Signore, conosce la persecuzione anche all’interno della Chiesa. Cita le parole che il Bergoglio cardinale tenne a conclusione di un Sinodo dei vescovi dell’America latina: «La Chiesa è una mamma. Se è mamma genera dei figli, che nutre e aiuta a crescere. Se questi si ammalano li porta dal dottore e se qualcuno scappa di casa, la mamma non sta lì ad aspettarlo ma lo va a cercare, e non vive finché non lo ha ritrovato». In questa genuina e fragrante narrazione è descritta l’ecclesiologia che sta guidando tutta l’azione pastorale del Bergoglio Papa.

Bassetti racconta poi come sia stato proprio Papa Francesco a suggellare il carisma profetico di alcune grandi figure di sacerdoti italiani del Novecento, attraverso il pellegrinaggio sulle loro tombe: Primo Mazzolari, Zeno Saltini, Lorenzo Milani, Pino Puglisi, Tonino Bello, sono altrettante comete di profezia apparse nel firmamento della nostra Chiesa. Rispetto a questa pattuglia di preti santi, spetta a noi oggi l’indifferibile obbligo di pedinare la loro scia.

Riconosce che la nostalgia verso un certo “regime di cristianità” che abita in tanti uomini di Chiesa, è purtroppo uno degli ostacoli più grandi alla riforma missionaria e una forma di lesa maestà alla novità che sempre lo Spirito ispira e chiede alla sua Chiesa. Lancia poi un appello a non lasciarsi imbavagliare dalla paura come categoria sociale: paura dell’altro e del diverso, perché la paura realizza la paralisi della società. Fino a diventare accorato nell’invito a un nuovo impegno dei credenti nell’agone politico.

Stimolato dal vescovo Andrea a pronunciarsi sull’imminente Sinodo dei giovani, racconta di aver scritto la prefazione ad un libro di Vito Magno intitolato “I giovani, inquieti sognatori”, e di essersi reso conto solo dopo che “inquieti sognatori” dovremmo essere prima di tutto noi adulti, quando ci accorgiamo che non stiamo assicurando un domani ai nostri ragazzi. Confessa allora di addormentarsi spesso tormentato all’idea del futuro che attende i giovani. Riconosce che la generazione adulta ne è spaventata, non riuscendo a intercettare il loro linguaggio così come il loro grido di aiuto e disperazione. Anche in questo abbiamo molto da imparare dal linguaggio del Papa, che parla un gergo diretto con questi giovani: «Sognate alto, non guardate la vita dal balcone e non confondete la felicità con il divano. Siete venuti al mondo per lasciare un’impronta».

È tardi e Bassetti chiosa e chiude la serata facendo carambolare sui presenti una carezza diretta a Monsignor Migliavacca: «Ma che vescovo v’ha mandato la Provvidenza!». Un delicato tocco di quella tenerezza di cui pure aveva splendidamente parlato poc’anzi.

 

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