Caritas Diocesana

Fine mandato per i ragazzi del Servizio Civile Caritas

di Francesco Fisoni

Tutte le storie, anche le più belle e coinvolgenti, conoscono immancabilmente il momento del «giù il sipario», il momento della fine. Se ci permettiamo un esordio di così sorvegliata mestizia è per dire che con questo weekend di metà ottobre, i giovani del Servizio civile Caritas concludono il loro mandato e si congedano dopo un anno in cui, portando energia ed entusiasmo, sono stati un autentico polmone d’ossigeno in tanti servizi della nostra Caritas diocesana.

Scelti a settembre 2019, dopo un attento e scrupoloso trial di colloqui, a questi giovani sono state affidate anche mansioni di una certa criticità che hanno richiesto un loro significativo ingaggio con attitudine all’autonomia e allo spirito d’iniziativa. Per questo motivo la selezione era stata “severa”. Era necessario trovare persone disponibili al servizio e che avessero voglia di mettere in gioco un intero anno della loro vita. Diciamo subito che per i quattro ragazzi arrivati alla fine di questo percorso, l’esame – se così si può definire – risulta superato più che brillantemente. Per Elettra 20 anni, la più giovane della pattuglia, l’anno in Caritas è stato addirittura, come ci dice, «un’esperienza di rigenerazione». Impegnata nei centri di ascolto e negli sportelli di sostegno al lavoro, racconta di aver maturato davanti agli utenti «la consapevolezza che una persona l’aiuti anche semplicemente ascoltandola, senza per forza vivere sotto la pressione di voler dare soluzioni ai problemi. La presenza e la giusta distanza sono già terapia per chi porta un problema». E continua: «Osservo che è cambiato il mio rapporto con il prossimo. C’è in me una maggiore consapevolezza dell’altro e un senso profondo di alterità. Tutte le esperienze fatte mi lasciano un segno. Insomma… sono cresciuta» Tania, 30 anni di Perignano, psicologa, è la più anziana del gruppo. Ha prestato servizio nelle case famiglia della diocesi, dove ha imparato, ad esempio, a prendere in braccio i neonati e a fare da “mamma” alle neo mamme lì ospitate. Esperienze che hanno fatto crescere in modo esponenziale il suo “saper essere”.

Forse è anche per questi motivi che gli altri ragazzi la considerano, con affetto, un po’ la “mamma” della squadra: «È stato un anno intenso – ci racconta – fatto di tante situazioni diverse, tutte accumunate dalla voglia di mettersi in gioco e di sentirsi parte di un progetto». Poi c’è Andrea, che ha 21 anni e viene da Ponsacco, studia Scienze della comunicazione e fa lo speaker alla radio degli studenti dell’Università di Pisa: «Ho svolto il mio servizio al centro di ascolto proprio a Ponsacco e alla mensa per i senza tetto. Poi con l’emergenza Covid ho avuto l’incarico di coordinare il gruppo di ragazzi della “Caritas young”, nato in pieno lockdown per assicurare la distribuzione di pacchi alimentari e farmaci a chi veniva messo più in difficoltà dal confinamento. In questo anno ho incrociato tante storie, alcune anche molto strazianti, come per esempio vedere genitori che vengono con i bimbi a prendere il cibo perché non hanno niente da dare loro». Tira poi le somme di questi suoi ultimi dodici mesi: «Caritas è un ambiente dove si capisce realmente il valore del volontariato e dell’aiuto al prossimo. Esco da questa esperienza come una persona più matura e critica». Alice 23 anni, viene invece da Le Pinete, laureatasi nei mesi del lockdown in Scienze del servizio sociale, si è ritrovata catapultata in questa galassia dopo un tirocinio presso il servizio di emergenze e urgenze sociali di Castelfranco. Durante tutto il servizio è stata il punto di riferimento del gruppo riguardo alle pratiche burocratiche, sempre aggiornatissima su orari, turni e report. Per lei però non è stato subito tutto facile, il suo primo giorno in casa famiglia a San Miniato è stato traumatico: «Pensavo davvero di non farcela! Poi piano piano ho preso le misure al mio incarico e alla fine posso dire di esser diventata un punto di riferimento per le donne lì ospitate».

Quando le chiediamo una valutazione complessiva del suo percorso in Caritas, ci dice con convinzione: «Si è trattato di un’esperienza unica e irripetibile. Un anno colmo di emozioni e sensazioni forti, ma anche pieno tanti sacrifici. Un anno che mi lascia un segno particolare e che nell’aiuto al prossimo mi ha resa maggiormente consapevole di me» Tutte le ragazze della pattuglia hanno dovuto interrompere per tre settimane, nel mese di marzo, il loro servizio nelle strutture in cui erano presenti a causa del lockdown. Le attività sono poi ripartite, con una certa fisiologica lentezza, ad aprile, in un momento però in cui sussisteva la priorità di dirottare forze giovani sui servizi di più stretta urgenza, come la distribuzione degli alimenti nei centri Caritas di San Miniato Basso e Ponsacco. Tutti i servizi nelle strutture e nelle case famiglia hanno poi ripreso a funzionare con regolarità a partire dal primo giugno. Il 30 settembre scorso i ragazzi hanno fatto un ritiro di formazione a chiusura di questo percorso con le altre Caritas toscane. La referente del gruppo sanminiatese, Elisa Salvestrini, e il direttore della Caritas diocesana, don Armando Zappolini, hanno portato i nostri «angeli senza ali» a Barbiana (foto), nei luoghi di don Lorenzo Milani. È stato un momento forte, importante, in cui si è fatto il punto e stilato il consuntivo dell’anno trascorso insieme. Formare gruppi di questo tipo significa ogni volta capitalizzare un patrimonio umano e di competenze straordinario. Poi però, dopo un anno, arriva l’inevitabile «rompete le righe».

A questo proposito chiedo alla Salvestrini cosa ha visto maturare in questi mesi che potrà invece restare come lascito per Caritas: «In verità niente va perso – ci dice. Tanti dei ragazzi che nel tempo sono stati con noi, una volta terminato il Servizio effettivo, hanno finito poi per gravitare attorno ai nostri centri di aiuto. L’arricchimento che portano dinamizza le nostre realtà, suggerendo stili intergenerazionali interessanti. E il fermento che generano viene poi passato, come un testimone, al gruppo che verrà dopo di loro. Questi ragazzi lasciano insomma un segno che non si cancella».