Ecumenismo e dialogo interreligioso

Dianich: «Aprire gli orizzonti»

di don Francesco Ricciarelli

Don Severino Dianich, nella sua presentazione del tema ecumenico, sabato 18 gennaio in Seminario vescovile, in occasione dell’avvio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ha preso spunto dai cambiamenti sociali provocati dal fenomeno migratorio. Il titolo della relazione recitava infatti: «Accoglienza e dialogo ecumenico in un’Italia di religioni diverse e di molti non credenti». La cultura del nostro Paese, ha osservato Dianich, è ancora legata a una prospettiva molto provinciale e il cristiano cattolico comune non è portato a vedere molto al di là dei confini della propria sfera di appartenenza religiosa. Le migrazioni però stanno sparigliando le carte.

Rifacendosi ai dati ufficiali relativi al 2019, il teologo ha fatto presente che, se in rapporto alla totalità dei residenti in Italia, i cittadini italiani di confessione cristiana non cattolica sono l’1,2%, gli immigrati cristiani non cattolici ammontano al 2,5%. In pratica possiamo pensare che «su 100 persone che abbiamo incontrato oggi, 3 fossero cristiane non cattoliche». Eppure, nonostante questa presenza non trascurabile e il lodevole impegno dei gruppi ecumenici per far crescere lo spirito fraterno e l’attenzione ai cristiani acattolici anche nelle nostre parrocchie, bisogna rilevare che la consapevolezza su questo tema è assolutamente scarsa, quando non inesistente.

La promozione dello spirito ecumenico in ambito cattolico si mescola con l’esigenza del dialogo interreligioso. Si tratta di due realtà diverse che si confondono nella mentalità diffusa, incapace di riconoscere i cristiani non cattolici come cristiani. Questi vengono piuttosto assimilati agli appartenenti ad altre religioni, considerati semplicemente come «altri». Retaggio di uno spirito polemico, ha osservato Dianich, che ha portato a enfatizzare gli elementi divisivi (come la non accettazione del Papa) rispetto all’elemento comune (la fede in Gesù Cristo), che è molto più forte. Nella categoria dell’«altro» rientrano anche i non credenti, che sono il terzo gruppo per quantità tra gli immigrati nel nostro Paese. Contrariamente a quanto si pensa, la maggior parte dei migranti sono i cristiani, al secondo posto vengono gli islamici e al terzo i senza religione. Il problema della presenza di altre religioni si è acutizzato con effetti preoccupanti soprattutto a causa del terrorismo dei fondamentalisti islamici. L’idea che la religione sia fonte d’intolleranza e quindi incompatibile con la democrazia influenza fortemente la disposizione degli italiani all’accoglienza verso lo straniero. Su questo punto si dà una forte divaricazione fra la Chiesa ufficiale, impegnata nella carità e nell’accoglienza dei migranti, e la linea politica più forte tra i cattolici. I fedeli aderenti a politiche restrittive di impostazione nazionalista giungono ad essere il 42,3%. Di fronte a questo dato, don Dianich ha ribadito che non possiamo rinunciare al criterio evangelico di base: «Ero straniero e mi avete accolto».

Poi la declinazione pratica dell’accoglienza da parte dei responsabili politici può trovare delle diverse sfumature, ma non è possibile rinunciare all’impostazione di partenza che viene dall’insegnamento di Gesù ed è già presente nell’Antico Testamento. I migranti cristiani non cattolici sono in gran parte ortodossi e quasi tutti sono donne, le cosiddette badanti. Non hanno qui una loro comunità di riferimento e quindi le nostre parrocchie devono diventare ecumeniche e offrire loro la possibilità di vivere la loro fede. Molte fra loro non erano praticanti, nate e cresciute nell’URSS, ma gettate in Occidente riscoprono la fede. La conseguenza pastorale di questa situazione è che l’ecumenismo dovrà sempre più coinvolgere la vita parrocchiale e l’esperienza di convivenza sociale diventerà anche esperienza di incontro religioso. Per concludere, don Dianich ha ricordato le caratteristiche dello spirito da cui è nato l’ecumenismo: la passione per l’altro, il gusto di conoscere il mondo, di incontrare il nuovo, il diverso. Aprire gli orizzonti, insomma. Senza questo spirito l’ecumenismo rischia di ridursi alla tecnica, alle diatribe sullacommunio in sacris. Ben più ampio dev’essere l’orizzonte: «Tu sarai luce delle nazioni» ricordava Isaia nella lettura della Messa domenicale. L’incontro con l’altro cambia le prospettive al mondo e permette di trovare, al di là delle differenze, molti valori comuni.