CONFERENZE

Decifrare il Medio Oriente: la «lezione» di monsignor Pizzaballa

di Francesco Fisoni

I cristiani di Terra Santa vivono in un contesto che chiede di essere esplicitato, soprattutto per l’opinione pubblica occidentale, le cui fonti d’informazione danno spesso per scontate definizioni e termini della questione. Proprio a questo proposito, con precisione e senso della sintesi, mons. Pizzaballa ha dedicato il primo quarto d’ora del suo intervento a descrivere l’assetto geo-politico del Medio Oriente. La composizione delle forze in gioco e degli equilibri che esse realizzano è di estrema complessità, tanto che il vescovo di Gerusalemme si è prodotto in una battuta: «Se alla fine avrete capito qualcosa dalla mia spiegazione, significa che mi sarò spiegato male». Anche ad avere occhi da profani la situazione non può che apparire drammatica e preoccupante. Le guerre degli ultimissimi anni hanno stravolto i tradizionali e precari equilibri. «Possiamo dire che il Medio Oriente, per come lo abbiamo conosciuto nel Novecento, è finito totalmente, e non ci è dato sapere come sarà nel futuro, a causa della molteplicità delle questioni aperte» che rappresentano una sfida alle congetture degli analisti e degli osservatori più attenti e acuti. Pizzaballa sostiene che sia stata la guerra in Iraq del 2003 ad aver sconvolto tutto il teatro. Le primavere arabe del 2011 e i sette anni di guerra siriana hanno poi perfezionato il disastro.
«Il conflitto a cui stiamo assistendo in Siria è intra-islamico e si realizza in un momento storico di profonda crisi dell’Islam rispetto alla modernità. Continuare a parlare di Islam come se si trattasse di un monolite indifferenziato risulta banale e riduttivo. Siamo in presenza di un universo frammentato e polverizzato, in profonda trasformazione. Lo scontro che riaffiora in controluce è quello eterno tra sciiti e sunniti. Si tratta dunque di una guerra di potere mascherata da antichi rancori religiosi. I sunniti hanno come riferimento l’Arabia Saudita e gli sciiti l’Iran.
Quindi alla fine si tratta di uno scontro di geo-prevalenza tra questi due Paesi e i loro alleati. Scegliendo di non scontrarsi direttamente, queste due potenze regionali hanno eletto da sette anni a questa parte la Siria – geograficamente centrale rispetto a tutto il Medio Oriente come loro campo di battaglia». A ciò si unisce la rilevante questione delle risorse energetiche e del loro trasferimento, e quindi dell’accesso e dello sbocco al Mediterraneo. In buona sostanza chi sarà in grado di controllare la Siria, sarà in grado di controllare strategicamente tutta l’area. Da sempre la Siria è alleata dell’Iran, perché la «dinastia» da cui proviene il presidente siriano Assad fa capo alla setta Alawita che appartiene alla galassia sciita. Questo nonostante la maggioranza della popolazione siriana risulti essere sunnita. In Iraq fino al 2003 si realizzava l’esatto contrario: la maggioranza della popolazione era sciita e aveva in Saddam Hussein una guida sunnita, che teneva il popolo sotto il pugno di ferro. Fattore che determinava però un equilibrio più stabile in tutta l’area. Con il colpo di mano degli americani e dei loro alleati in Iraq, gli assetti sono stati stravolti e oggi anche l’Iraq si è avvicinato all’Iran. Non si può poi dimenticare il Libano, controllato nella sua parte meridionale da Hezbollah, partito islamico tradizionalmente sciita. Si è realizzata dunque una continuità geografica a impronta sciita – non a caso ribattezza dai sunniti la «striscia del male» – che si estende dal Mediterraneo con il Libano, passa per Siria e Iraq e arriva fino all’Iran. Gli equilibri regionali sono dunque attualmente a favore degli sciiti-iraniani, con l’Arabia Saudita che da un po’ di anni a questa parte sta agendo alacremente per spezzare questa egemonia. Sul fondale c’è poi la cosiddetta Comunità internazionale, con gli Stati Uniti vicini a Israele e all’Arabia Saudita sunnita e Russia e Cina che non fanno mistero di simpatizzare per l’Iran sciita. A complicare questo autentico rompicapo c’è poi più defilata, ma strategicamente importante, anche la Turchia, sulla quale Pizzaballa si esprime con una nuova boutade: «Per capire quali siano gli obiettivi strategici della Turchia rispetto a tutta la faccenda mediorientale, ci vorrebbe l’assistenza di due Persone dello Spirito Santo, dato che la sua politica degli ultimi mesi è connotata da prese di posizione e repentini dietro-front. L’unica cosa certa che si può affermare riguardo alla Turchia è che non vuole la costituzione di uno stato curdo».
La guerra siriana ha ovviamente delle influenze enormi all’interno della Terra Santa e della questione israelo-palestinese. Israele è nemico acerrimo dell’Iran, esattamente come l’Arabia Saudita, e si sta realizzando il principio per cui «Il nemico del mio nemico è mio amico». Gli ultimi anni hanno infatti registrato un riavvicinamento – prima segreto, adesso sempre più palese – tra Israele e Arabia Saudita. A fare le spese di questa nuova e inedita «alleanza» è la questione palestinese, prima energicamente difesa dai sauditi e adesso da loro sacrificata sull’altare della più cinica e pragmatica realpolitik. Il vescovo Pizzaballa non crede che si giungerà in Siria ad uno scontro diretto tra Russia e Usa, come paventato da molti osservatori. I veri contendenti, a suo dire, sono Israele e Iran, e la vera questione da decifrare è se, e fino a che punto, Israele e Iran utilizzeranno la Siria per una resa definitiva dei conti tra di loro.
 
Alawiti (o Alauiti): gruppo religioso diffuso principalmente in Siria. Alawita è Assad, presidente siriano dal 2000. Gli alawiti odierni sono sciiti, e sono considerati al di fuori dell’Islam dalla corrente principale dei musulmani (quella sunnita), per aver storicamente e teologicamente operato una quasi deificazione di Alì, cugino e genero di Maometto.
 
Hezbollah: è un’organizzazione libanese, il cui nome in arabo significa «Partito di Dio». Nata nel giugno del 1982 e divenuta successivamente anche partito politico sciita del Libano. Le sue milizie hanno condotto dal 1982 al 2000 azioni di guerriglia contro l’esercito israeliano che occupava i territori meridionali del Libano. Da un punto di vista ideologico Hezbollah professa apertamente un nazionalismo arabo-libanese, si riconosce nel khomeinismo sciita iraniano e vede nel capitalismo occidentale e nel sionismo i suoi giurati nemici.
 
Sciiti: rappresentano una delle due grandi correnti religiose islamiche. Letteralmente «Shi’a» significa «fazione». Si contrappongo al sunnismo, soprattutto riguardo all’importanza che viene data alla figura dell’imàm, che per gli sciiti riveste il ruolo politico-religioso di mediatore tra Dio e gli uomini. La separazione dal sunnismo avvenne per motivi politici in seguito alla morte del Profeta, quando suo cugino Alì e la propria shi’a (fazione) si ribellarono alla designazione di un altro successore, Abû Bakr, il primo dei califfi. Oggi sono a maggioranza sciita l’Iran, l’Iraq e il Libano.
 
Sunniti: in eterna contrapposizione con gli sciiti, derivano il loro nome dalla «Sunna» che è l’insieme dei fatti che riguardano Maometto e che vengono tramandati dalla tradizione per insegnare, insieme al Corano, il giusto comportamento. I sunniti si chiamano così perché seguono «l’ortodossia» del Profeta e dei suoi successori, a differenza degli sciiti che invece rifiutano l’autorità di questi ultimi. Sunnita è l’élite wahabita che guida l’Arabia Saudita.
 
Wahabiti: il wahabismo è un movimento di riforma religiosa, fondato nel XVIII secolo, sviluppatosi all’interno del sunnismo. Per oltre due secoli il Wahabismo è stato il credo dominante nella Penisola Arabica e dell’attuale Arabia Saudita. Esso costituisce una forma estremamente rigida di Islam sunnita, che insiste su un’interpretazione letteralista del Corano. I wahabiti ritengono che tutti coloro che non praticano l’Islam, secondo le modalità da essi indicate, siano pagani e nemici. dell’Islam. I suoi critici affermano però che la rigidità wahabita ha portato a un’interpretazione rigorosa dell’Islam, ricordando come dalla loro linea di pensiero siano scaturiti personaggi come Osama bin Laden o gruppi fondamentalisti come i talebani.