ARTICOLO

Con il nastro rosa: sulla bontà degli stereotipi

di don Francesco Ricciarelli

Chissà, forse è un inveterato pregiudizio quello che spinge le giovani coppie ad esporre fuori dall uscio di casa un fiocco rosa o azzurro per annunciare la nascita di una bambina odi un bambino, rispettivamente. Il simbolismo dei colori associato ai sessi, ancora così diffuso tra la gente comune, non gode di buona stampa tra gli intellettuali e nelle istituzioni. L azzurro e il rosa sarebbero i primi segni di una discriminazione e di una grave ingerenza culturale nella vita dei piccoli, ai quali si vorrebbero imporre fin da subito moli e destini preconfezionati. Il rosa indicherebbe il sentimento mentre il blu l azione, uno dei tanti esempi di quegli stereotipi che la cultura dominante vorrebbe far scomparire. Il primo e più delicato campo d intervento nella guerra contro gli stereotipi di genere è naturalmente la scuola. Mi ricordo i giorni spensierati dell infanzia, quando noi maschietti portavamo il grembiulino nero e il fiocco azzurro e le femminucce il grembiulino bianco e il fiocco rosa. Oggi una situazione del genere sarebbe impensabile. L Ufficio Scolastico Regionale della Toscana ha inviato all inizio di quest anno una circolare a tutti gli Istituti scolastici per annunciare l avvio di «attività formative e di sensibilizzazione delle scuole volte alla lotta degli stereotipi di genere e alle discriminazioni determinate dall orientamento sessuale». Altro che .fiocchi azzurri e rosa! Si tratta piuttosto di sradicare la persistente tendenza delle bambine ad accudire bambole e la loro predilezione per i colori caldi e la costante tendenza dei maschietti a scegliere giochi meccanici e ad evitare il colore rosa… e i fiorellini. Tendenze instillate, si pensa, da una cultura sessista e omofoba inculcata fin dall infanzia. Ma le cose stanno davvero così? Il motivo per cui i bambini e poi gli adulti manifestano preferenze e sensibilità differenti a seconda del gesso è soltanto di tipo culturale? Ho letto nei giorni scorsi il nuovo libro del sociologo Giuliano Guzzo, che tratta proprio di questi temi: «Cavalieri e principesse. Donne e uomini sono davvero differenti, ed è bello così» (Cantagalli 2017), che offre spunti di riflessione interessanti. Anzitutto contesta l idea che differenza e diseguaglianza siano sinonimi. In realtà la prima è un dato naturale, la seconda è un ingiustizia culturale. Per questo, affermare che maschi e femmine sono differenti non implica di per sé essere sessisti o avallare delle discriminazioni. Il contrasto della discriminazione non può portare al contrasto della differenza, come invece sta accadendo. Sgombrata il campo dall accusa che piove automaticamente in capo a chi soltanto osi sollevare la questione, non resta che constatare i risultati di centinaia di studi scientifici, condotti confrontando culture lontane e difformi tra loro, che documentano la differenza tra maschi e femmine su infiniti versanti, ritrovandone indizi già nei primi mesi di vita, in qualche caso addirittura a poche ore dal parto o perfino in fase prenatale e scoprono che i sessi divergono in maniera del tutto analoga in paesi e culture diversissime, nei registri comunicativi, nelle scelte, nel modo di vivere l amore. Addirittura le differenze si confermano negli stessi studi nati per negarle, come in quelli svolti sull esperienza dei kibbutz israeliani, dove i bambini allontanati dai genitori e allevati in maniera comunitaria e paritaria, continuavano a preferire giochi maschili o femminili a seconda del sesso di appartenenza. Con lo scrittore Dietrich Schwanitr, potremmo intanto ammettere che «la differenza tra i sessi, anziché apprestarsi al congedo dalla storia iniziando a sbiadirsi, si rifiuta ostinatamente di sparire, lasciandoci tutti imbambolati come davanti a un enigma arcaico». Forse dovremmo semplicemente prendere atto di quello che è ovvio: uomini e donne sono differenti, ed è bello così.