Effetti della pandemia

Catechismo e tentativi di ripresa

di don Angiolo Falchi

Il catechismo, incontrando i ragazzi sulla via dei loro interessi, cercando di coinvolgere maggiormente laicato e famiglie. La riflessione di un parroco della nostra diocesi, per una rievangelizzazione oltre l’emergenza.


Premetto che non sono un “esperto”; sono solo un “osservatore” in ricerca (nel senso che osservo i tanti progetti catechistici che ho visto passare). E dico pure che non sono quasi mai stato soddisfatto di quello che ero riuscito a fare, anche perché ho sempre pensato che potevo fare meglio o di più. Veniamo a noi. I metodi catechistici in uso fanno acqua. La situazione è aggravata dalla pandemia e, prima ancora, dal disinteresse di molte famiglie, dall’attrazione che i ragazzi subiscono da altri centri di interesse, dalla crisi di fede che serpeggia dovunque. Una fede che molto spesso si riduce ad una conservazione di tradizioni, che si tengono in piedi perché non si ha il coraggio di buttarle giù. Se mi mettessi a fare la narrazione dei metodi e delle strategie adottate per la catechesi che abbiamo usato in questi 50 anni e più, non basterebbe lo spazio in pagina. Chi ha memoria, più lunga o più corta, provi a ricordare. Io ricordo l’entusiasmo che vivemmo nell’ immediato post-Concilio, quando ogni anno veniva pubblicato un volumetto del catechismo Cei; i convegni catechistici, preparati da una settimana sulle Dolomiti; la produzione di sussidi; le varie  iniziative che nascevano nelle parrocchie e la gioia della comunicazione e della sana emulazione, che favorivano la crescita e una osmosi diocesana. Poi, forse, subentrò l’illusione di poter rimanere in quota senza carburante; la navigazione andò un po’ avanti per forza di inerzia, ma poi l’apparecchio cominciò a precipitare.

Attualmente non saprei dire a che altitudine siamo, ma se non si mette saggiamente mano a delle leve, lo schianto è assicurato. Si dice: «La catechesi tradizionale non regge più». La diagnosi è esatta, ma quale terapia suggerire? La malattia è aggravata da tanti altri fattori; non è solo la pandemia (questa, prima o poi, finirà), ma ci sono altre realtà più insidiose e perniciose, quali il crollo del ruolo educativo della famiglia, l’influenza dei mass-media, il progressivo logoramento del tessuto religioso, la perdita di valori umani e cristiani ritenuti basilari nel passato ed ora irrisi.

Allora, forse, occorrerà ricercare i ragazzi sulla via dei loro interessi (sport, relazioni amicali, interessi culturali, ambienti in cui trascorrono molto del loro tempo… ). Senza trascurare le situazioni familiari, anzi, facendo diventare realtà quello che chiamiamo «accompagnamento», che per ora sembra che sia rimasto solo un pio desiderio. Pensare di formare cristianamente dei ragazzi senza la collaborazione, il coinvolgimento, della famiglia è come pretendere di far volare un aereo senz’ali. Certo che bisogna «illud facere et aliud non omittere», far l’uno senza trascurar l’altro. E quando si tocca la famiglia, i genitori, in larga scala si tratterà di fare una vera e propria rievangelizzazione. In molti casi bisogna ripartire dall’annuncio di Gesù Cristo, dal vangelo; occorre far risuscitare la fede in loro, se si vuole che fra una quindicina d’anni ci sia una nuova primavera, una nuova generazione di giovani e ragazzi cristianamente “responsabili”.

E tornando alla ricerca dei ragazzi sulla via dei loro interessi, dei loro punti di aggregazione, occorrerà tentare, ribaltando la parabola del buon seme e della zizzania, di seminare il buon seme in un campo dove cresce rigogliosa tanta zizzania, ma dove forse c’è ancora qualche spazio per collocare il buon seme del vangelo. La nausea sociale, il disagio psicologico, la scontentezza generalizzata, il desiderio inappagato di felicità, la banalizzazione dell’amore e delle relazioni personali, la perdita di sicurezza e di capacità di orientamento possono essere altrettanti spazi dove poter seminare luce e verità, amore e sicurezza, generosità ed altruismo. Tutto questo, però, non è possibile che possa essere portato avanti solo da qualche buon cireneo che s’immola per uno scopo altamente nobile e significativo. Occorre un cambio di passo in tutti coloro che ad oggi avvertono la necessità di un profondo cambiamento nella società e nella chiesa, nel privato e nel pubblico. Occorre che i battezzati laici prendano coscienza che non è più tempo di lasciarsi condurre, ma di diventare conduttori.

In altre parole, la catechesi nelle nostre parrocchie non può più essere monopolio dei preti, ma appannaggio qualificante del laicato adulto e responsabile.