GIUBILEO DELLA DIOCESI - I NOSTRI 400 ANNI - LE DONNE

Alfiera Gori, dalle colonie di Calambrone alla Stella Maris. Una storia da riscoprire.

di Andrea Mancini

Originaria di Ponsacco, presidente diocesana della Gioventù femminile e poi delle donne di Ac, a fine anni ‘50 dirigeva le colonie di Calambrone con ben 11 mila bambini.

A fine anni ‘50 su questo settimanale veniva pubblicato un interessante bilancio dell’Opera diocesana di assistenza, presieduta dal canonico Aladino Cheti, che stimava nel numero di undicimila i bambini coinvolti quell’anno nei centri allestiti sia al mare che in montagna, cioè sulla costa pisana, tra Calambrone e Tirrenia e poi a Gavinana, sulle montagne pistoiesi. Chiaramente questi bambini frequentavano le cosiddette colonie per un massimo di quindici giorni, dunque ogni insegnante ne seguiva un certo numero per più turni durante tutti mesi estivi. C’era comunque bisogno di un notevole lavoro di reclutamento e di formazione del personale dirigente ed ausiliario che coinvolgeva a vari livelli l’Opera diocesana, il Centro Italiano Femminile e le altre associazioni cattoliche femminili dell’intera diocesi.

Anche di questo settore di notevole interesse storico e documentario si occupa un interessante volume di Monica Pacini, «Donne al lavoro nella Terza Italia. San Miniato nella ricostruzione della società dei servizi», Ets 2009, presentato da Maria Fancelli, un libro importante, anche per l’emergere di una serie di figure femminili del mondo cattolico, altrimenti destinate all’oblio.

In particolare la Pacini chiarisce che l’incarico di vigilante nelle colonie estive era destinato soltanto alle donne, con come titolo preferenziale per essere selezionate, l’abilitazione magistrale o il diploma di maestra d’asilo. Nel 1959 il Ministero della Pubblica Istruzione aveva tra l’altro riconosciuto il servizio prestato nelle colonie private come valido per maturare il punteggio nelle graduatorie per incarichi e supplenze. Insomma dietro a tutto questo c’era un impegno davvero importante, svolto egregiamente dagli uffici preposti all’interno soprattutto dell’Azione Cattolica. È appunto lì che, nel ruolo dirigenziale, incontriamo una donna particolarmente attiva, una donna “vecchio stampo”, come ne A erano maturate negli anni tra le due guerre. Alfiera Gori – si chiamava così – assumeva, nel bene e nel male, il ruolo di coordinatore di un numero davvero alto di giovani maestre. Abbiamo parlato di lei con alcune di quelle che erano le “maestrine delle colonie”. C’è chi ne ha un ricordo pessimo, come una specie di dittatore e chi invece la rammenta per la sua intelligenza e anche per una certa dolcezza. Crediamo, per nostra esperienza, che potesse avere entrambe le caratteristiche, dovendo comunque assumere su di sé responsabilità davvero importanti, anche davanti alle centinaia di famiglie che le affidavano i loro figli.

Alfiera era originaria di Ponsacco, presidente diocesana della Gioventù femminile e poi dell’Unione donne di Azione cattolica: «Aveva messo su lei le colonie di Calambrone – racconta Lidia, una delle giovani a suo tempo coinvolte -, lei con il parroco, ma era soprattutto lei, perché aveva le idee, via (…) una donna intraprendente che ha fatto tantissime cose».

Allora nell’Azione cattolica c’era un abbigliamento ben preciso: niente gonne strette, maniche sbracciate, ecc. Mentre con Alfiera le cose potevano andare in modo diverso: «La forma per lei non era importante, era una donna molto aperta, molto intelligente». Nella stessa dichiarazione, Lidia racconta del suo coinvolgimento nella struttura di Calambrone, senza una grande preparazione, né altre qualifiche: «Mi lasciò là come capo assistente che io non sapevo neanche da che parte cominciare. Però organizzavo la giornata dei ragazzi, ecco mi ricordo che insomma ci stavo bene (…) dovetti lavorare per un mese intero, in un mese non venni mai a casa (…) la mattina al microfono svegliavo i ragazzi (da 5 a 12 anni), gli facevo dire le preghiere – una preghiera – poi mettevo le canzoni (…) dopo tutti i ragazzi su un grande piazzale a fare ginnastica, questo l’avevo messo io! Io in tutti i modi volevo fare qualcosa che fosse proprio abbinato a questo, all’educazione fisica. Al microfono li guidavo io: attenti! Riposo! Addirittura si faceva l’alza bandiera… e la sera l’abbassa bandiera».

Nel 1958 la stessa Alfiera Gori aveva dato vita alla Stella Maris, insieme naturalmente a don Aladino Cheti e alla clinica neurologica dell’Università di Pisa, un centro che nel tempo ha assunto una rilevanza europea, per lo studio delle scienze neurologiche, anche se all’inizio nasceva per il recupero di “ragazzi difficili”, reclutati in tutta Italia, grazie al lavoro del professor Pietro Pfanner.

Al di là di un discorso sulla Stella Maris, che avrebbe bisogno di ben altra trattazione, è ancora interessante la testimonianza della nostra Lidia, che si trasferisce appunto a Calambrone, incontrando grande soddisfazione per il suo lavoro, che appaga un desiderio di «mobilità, conoscenza e autonomia».

Lidia – così come tante altre donne, che sono state insegnanti, oppure si sono impegnate in mondi fino ad allora destinati agli uomini, non si è interessata per avere uno stipendio adeguato, né tantomeno una famiglia.

Il suo destino, anche stavolta comune a tanta parte del genere femminile, è stato quello del nubilato, senza che – almeno in apparenza – se ne sia mai pentita, diventando una specie di suora laica. Ci piace chiudere su questo, che è qualcosa di più di un interrogativo.